Il magistrato oggi
di Aldo Bianchini
“Una società sempre più scarna di valori veri sarà in grado di generare uomini e magistrati di vero valore?”. Con questo interrogativo si conclude un eccellente approfondimento sul ruolo del magistrato oggi dal titolo “Il magistrato tra l’essere e l’apparire” scritto con grande convinzione da Carmine Olivieri (sostituto presso la Procura della Repubblica di Sala Consilina) e pubblicato su BancAmica periodico (d’informazione finanziaria, sociale e culturale) edito dalla BCC MPR di Roscigno e Laurino e diretto dalla collega Lucia Giallorenzo. “Una risposta non so darla, ma rilancio l’argomento…….” dice Olivieri sperando (forse!) di aprire un dibattito che dovrebbe vedere in prima linea innanzitutto il foro di Sala Consilina e poi la stampa di quel comprensorio. Se questo, come credo era il suo obiettivo, Olivieri ha fatto male i calcoli e proprio su questo aspetto dovrebbe fare la prima seria riflessione: tra magistrati, avvocati e stampa esiste ancora un distacco notevole nei rapporti che spesso sono molti lontani dalla parità più volte invocata dal legislatore. Proviamo, comunque, ad aprirlo questo dibattito. Condivido quasi tutto quanto scritto dal dott. Olivieri; egli descrive uno schema virtuoso miscelando intelligentemente l’essere e l’apparire come due facce della stessa medaglia in un equilibrio che deve assurgere ad un modo di essere da non confinare soltanto nei provvedimenti che si scrivono. E’ vero, il magistrato non dovrebbe mai dimenticare che dietro le carte vi sono le persone che attendono una giustizia che arriva sempre tardi e che è sempre ingiusta. E’ altrettanto vero che il magistrato, negli odierni sistemi democratici, ha il ruolo di “controllo delle regole che la società di riferimento si è data”; ed è proprio da questa affermazione del sostituto che parte la mia personale riflessione che, essendo personale, può non essere condivisa. Il considerare “l’uomo-magistrato” quale entità unitaria (che concilia la funzione giudiziaria e quella naturale) rischia di essere deviante rispetto al problema vero che è quello del “rispetto delle regole” che la società si è data e di chi è chiamato a “controllare” che le stesse vengano rispettate. Se da un lato è giusto tener conto che il magistrato è anche “uomo”, dall’altro è pericoloso attribuire solo a lui (e non ad altre categorie) la capacità di un equilibrio nell’amministrazione della giustizia che spesso “viene vista come qualcosa di alieno, maneggiata unicamente da uomini di palazzo…”. Del resto lo stesso Calamandrei (uno dei padri costituenti) segnalava già nel ’48 il pericolo di una deriva della magistratura che fin d’allora appariva tesa ad epurare lo “spirito di servizio” a favore della “sete di potere”. Non voglio con questo incolpare tutti i magistrati di “sete di potere” ma è la stessa non demarcazione precisa dei compiti che induce, a volte, anche i più bravi a guadare il Rubicone. In altre parole, e più semplicisticamente, voglio dire che il magistrato dovrebbe sempre attenersi a quello che è e rimane il suo compito: applicare la giustizia commutativa nel pieno rispetto delle leggi. Spetta al Parlamento, e quindi alla politica, la gestione della “giustizia distributiva”. Se questi due concetti, cardini del diritto, venissero sempre ed in maniera assoluta rispettati non assisteremmo, forse, alle scene pietose di questi giorni e non sentiremmo mai e poi mai “puzza di regime” né dall’una né dall’altra parte. E non ci sarebbe, infine, nemmeno bisogno di scomodare il grande filosofo statunitense Dewey; sarebbe sufficiente muoversi in sintonia con l’umore della gente comune che eccelle in pragmatismo vissuto e non soltanto raccontato.