Nobili: la morte di un manager

Aldo Bianchini

Democristiano per fede, andreottiano di ferro, fedele per sempre: Franco Nobili. Gli avversari politici lo definivano “boiardo”, gli amici lo hanno sempre portato sugli scudi. E’ stato certamente un grande manager, forse uno dei più illustri “capitani di Stato”. Si è spento la sera del 27 novembre scorso, verso le ore 23.30, nella sua residenza romana assistito fino all’ultimo da tutti i suoi cari. Era nato nel 1925 e dopo la laurea in giurisprudenza con il massimo dei voti era entrato nel settore delle grandi costruzioni con la potentissima “Farsura” di Milano che ha diretto fino alla fine. Nel 1959 fondò la mitica “Cogefar-Impresit” di cui divenne “il Presidente” almeno fino a quel maggio del 1993 che segnò l’inizio delle sue disgrazie giudiziarie. Chi pensò che avesse parlato rimase profondamente deluso e gli amici, quelli veri, non lo hanno mai abbandonato anche dopo le disastrose vicende di “mani pulite” e negli ultimi anni lo hanno eletto alla presidenza dell’Istituto Luigi Sturzo, alla vice presidenza della Fondazione De Gasperi ed alla presidenza della Fondazione Segni. Era anche “Cavaliere di Gran Croce e Croce di guerra al “valor militare” per meriti conquistati sul campo nella seconda guerra mondiale. I suoi guai giudiziari iniziarono la mattina del 7 maggio 1993 quando fu letteralmente trascinato nella Questura de L’Aquila per essere interrogato dal pm Fabrizio Tragnone nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti abruzzesi della Cogefar. Ma l’assalto alla sua immagine ed al suo potere era stato, forse, preparato qualche mese prima quando nel bunker della Procura milanese si incontrarono i magistrati meneghini Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e i magistrati salernitani Michelangelo Russo, Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio per concordare la strategia d’attacco proprio contro Franco Nobili che a Salerno con la Cogefar-Impresit stava realizzando il famigerato “trincerone ferroviario”. Il risveglio del manager dopo la brusca frenata del 7 maggio a L’Aquila fu drammatico: la mattina del 12 maggio 1993 il pool milanese lo arrestò con l’accusa delle tangenti Enel; pesanti e insulse le confessioni di Emilio Zamorani (Italstat), Enzo Papi (plenipotenziario DC), Vincenzo Balzamo (segretario amm. PSI) che ipotizzarono l’esistenza di due società per la raccolta di fondi neri, una nelle isole britanniche del Canale (la Saint Peters) e l’altra nel Liechtenstein (Fidin). Franco Nobili resta in carcere fino al 28 luglio 1993, ben 78 giorni nell’impenetrabile San Vittore per cercare di difendersi da accuse farneticanti sulle quali la mattina del 31 maggio 1993 viene posta la più classica delle ciliegine ad opera della Procura della Repubblica di Salerno: nuovo mandato di arresto in carcere per presunte tangenti sull’appalto del “trincerone ferroviario”. Dolce la compagnia per Nobili, insieme a lui (ma a Salerno e Bellizzi Irpino) finiscono in galera il prof. Adriani (Università di Napoli), il prof. Vincenzo Giordano (già sindaco di Salerno), l’avv. Fulvio Bonavitacola (già assessore comunale) e il prof. Aniello Salzano (già sindaco di Salerno). Emblematica la frase con  cui Nobili accolse Michelangelo Russo, in trasferta a MIlano per l’interrogatorio di garanzia: “Salerno!! -chiese il manager-, scusi ma dove si trova!!”. Dopo sette anni le prime assoluzioni con formula piena, dopo dieci la completa riabilitazione; troppi per un uomo di grande talento che proprio dall’Università di Salerno aveva ottenuto, agli inizi del 1993, la nomina di “professore onorario” con tanto di laurea honoris causa in ingegneria civile. Il capo dello stato Giorgio Napolitano in un messaggio inviato alla vedova Maria Antonietta lo ha definito “una figura rappresentativa per molti anni della vita economica e civile del nostro Paese”