Capitalismo esasperato, crollo della finanza globale

 

Avv. Domenico Ventura

Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati, in economia, dal gigantismo bancario e dalla ipertrofia dei gruppi finanziari, propiziati dai grandi interessi europei ed internazionali, che hanno di fatto fagocitato le piccole banche a carattere locale, profondamente inserite nel tessuto economico-sociale dei territori. Questa grande concentrazione di capitale finanziario in pochi enormi apparati, spesso di dimensioni planetarie e perciò  incontrollabili, ha prodotto quella cosiddetta finanza creativa, che ha contaminato l’economia mondiale con i nefasti effetti di una crisi dalle proporzioni e dalle conseguenze incalcolabili a livello globale, coinvolgendo quasi tutte le nazioni, ivi comprese le forti economie emergenti. I plutocrati che gestiscono la finanza internazionale si sono inventati dei titoli ad alta rischiosità, immettendoli spregiudicatamente nel mercato (derivati, edge fund, cartolarizzazioni, carte di credito, ecc. ecc.) ed arrivando addirittura a dare valore finanziario ai debiti ossia ai mutui cosiddetti subprime, ad alto tasso di rischiosità e di insolvenza.Tutto ciò in assenza di qualsiasi intervento o addirittura con il beneplacito degli organi, interni ed internazionali, che erano deputati al controllo di tali attività. Da questa vera e propria sarabanda finanziaria sono stati contagiati un po’ tutti banche, istituti finanziari, aziende, enti locali e non ultimi addirittura gli Stati, oltre naturalmente agli sprovveduti privati cittadini, che hanno investito ingenti risorse e capitali, attratti dalle mirabolanti promesse di elevati guadagni. Pertanto ingenti risorse sono state sottratte all’economia reale e cioè alle imprese, alle aziende, all’industria, al commercio, ai servizi ed alle attività economiche, effettivamente produttive di reddito e di lavoro. A tali attività, realmente produttive di ricchezza e di posti di lavoro, sono state invece negati frequentemente, specie al Sud,  dal sistema bancario risorse e capitali, che potevano dare un forte e decisivo impulso alla espansione ed allo sviluppo economico del Paese e delle sue aree sottosviluppate. Risorse che viceversa sono state dirottate verso i titoli cosiddetti “tossici”, dei quali ora il Paese è costretto a subire le pesanti ripercussioni e gli effetti di una crisi dalle conseguenze imprevedibili. E’ venuto il momento di ritornare alle vecchia filosofia delle piccole banche, di cui Salerno è stata un fulgido esempio negli anni sessanta, allorché un gruppo di coraggiosi e lungimiranti imprenditori (e non potendoli ricordare tutti, ci piace citarne solo alcuni e cioè gli Amendola, i D’Agostino, i Pezzullo, i Coppola, i Ferro, i Perotti, gli Scaramella, gli Imparato, i Di Lauro e tanti altri) ebbe a fondare due piccole Banche tutte salernitane, ormai scomparse perché assorbite da grandi istituti. Si tratta della Banca fra Commercianti ed Industriali e della Banca Popolare di San Matteo che, profondamente inserite nel territorio ed attente alle esigenze della clientela, seppero dare un impulso prodigioso alla  economia salernitana, ponendo le basi di un vigoroso sviluppo produttivo, fonte di ricchezza e di lavoro. Nelle grandi Banche il cliente non è altro che un semplice numero che, se rientra in certi parametri astratti,  è buono, altrimenti è inaffidabile. Nelle piccole Banche, legate al territorio, invece il cliente è una persona con la sua vita, con le sue esigenze e le sue capacità, che viene accolto e seguito per le sue idee, per le sue iniziative e per la sua voglia di intrapresa economica.E’ appunto l’economia del fare, della sobrietà e della solidarietà;solo ritornando ai valori di questa vecchia filosofia, il Paese potrà nuovamente sperare e risorgere e con esso anche l’economia della nostra città e dell’intera Provincia, secondo le vocazioni e le tradizioni, che le sono proprie.