Obama e la sua America
Martedì prossimo, 20 gennaio 2009, gli USA vivranno uno dei momenti più importanti della loro storia: un uomo di colore si insedierà alla Casa Bianca per accomodarsi sulla poltrona del potere più importante del mondo. Il suo nome è Barack Obama, l’uomo che da tempo pronuncia ripetutamente, come fosse sua, la frase più celebrata d’America: “Yes, we can” che è il simbolo stesso del popolo americano e che il buon Barack ha letteralmente strappato dalle labbra del grande e mitico JFK. La limousine di Barack Obama si avvicina alla Casa Bianca a colpi di freno (scrive Alberto Pasolini Zanelli su “Il Giornale”). Belle nitide luici rosse posteriori che indicano che il futuro pilota dell’America forse non sa con precisione dove vuole andare ma ha capito che occorre ridurre considerevolmente la velocità rispetto alle promesse elettorali. Del resto l’America è un paese “follemente nazionalista”, quasi parossistica l’alza bandiera del sabato mattina in quasi tutti i giardini americani, guai a far passare il messaggio che il popolo statunitense deve pur abbassare le vele se vuole superare l’attuale congiuntura economica globale per ritornare ad essere il popolo leader del pianeta. Agli americani piacciono gli atteggiamenti, fuori regola e condizioni e popolustici, del presidente eletto. Ad Egli è permesso di sfidare le rigide regole del protocollo per andare a gustare le gastronomie del fast-food, addirittura di pagare direttamente alla cassa; di portare alla Casa Bianca anche la suocera (vera donna di colore come Michelle) nell’ottica di una famiglia allargata e ormai molto lontana dalle miserie di Harlem. I bianchi e i neri d’America hanno capito che ai comandi dell’ Air Force One poteva e doveva sedersi un uomo di colore. Guai, però, se quest’uomo anche solo col pensiero scalfisse il mito e il ruolo della superiorità che, pur nascondendola sotto la cenere, il popolo statunitense rivendica solo per se rispetto a tutti gli altri popoli della Terra. La correzione di rotta c’è stata, la scivolata verso la perdita di consenso s’è arrestata sulle luci rosse posteriori della Limousine; bisognerà aspettare martedì prossimo e capire dal discorso di insediamento quali saranno le reali intenzioni di Barack nel pur necessario tentativo di rinnovare un Paese ormai sull’orlo del collasso. Guantanamo chiuderà, ma non nei cento giorni indicati dal presidente eletto. Yes we can, certo Lui può, deve farcela; altrimenti saremo rovinati tutti. Ci consola, comunque, il dito indice di Obama puntato verso il futuro.
Ciao Aldo
il tuo commento su Obama e’ stato molto gradito da me ,e le mie
congratulazioni per esprimerti cosi bene,e di avere un completo
controllo della lingua italiana.Carissimi saluti:Tonino.
Caro Aldo
I colpi di freno li stanno dando quelli che devono andare via e molto riluttanti devono farlo.
Questa è la democrazia, non la nostra che una specie di buffonata.
Il governo non è un mestiere ma una chiamata con i favori degli elettori. Non una classe autoreferenziata.
Barak Obama è un vento che cambierà l’America, in verità l’ha già cambiata, e il mondo. E che ci piaccia o no questo vento soffierà prima o poi anche da noi.
Se così non sarà, penso che i nostri problemi siano terminati in quanto non ci sarà più un mondo così come lo abbiamo conosciuto, in tutti i sensi.
P.s. sto preparando le cconferenze per Apollo 9 e 10 spero di farcela per fine marzo.