Riso da Oscar!
Il riso. Quello che nel Nome della Rosa, per Eco, diventa elemento letale. Una sorta di sortilegio, irretito tra le pareti della scienza monastica, inviolata dalla contaminatio mondana. Il riso. Quello del grottesco clown, capace di far stiracchiare le labbra non in un ghigno. Per cercare di rasentare quella comicità, che o alla Benigni ultima moda o alla Troisi del Postino, insegue la notorietà. Non scadendo nel pessimo gusto. Un tempo l’arte circense, veniva autorizzata specialmente per i piccoli, come diversivo domenicale. Poi, lo spettacolo delle fiere e dei trapezi senza reti, degli elefanti mastodontici e delle scimmiette sempre vigili, quasi accantonato. Ed oggi, non si riesce più a sorridere. E si cercano sempre più sofisticate, per non dire volgari, espressioni, per far scattare il riso. A cascate, dinanzi al cattivo gusto, forante il doppio senso e la viziata sessualità. Come comun denominatore. La valvola di sfogo. Così, anche arrampicarsi su una scrivania con gambe all’aria, parlando sempre e solo di fisicità e d’anatomia, finisce per bucare lo schermo. Almeno la Letizzetto, emerita sconosciuta fino a qualche tempo fa, oggi è diventata una popular comic solo per questo. Per la pedissequa abilità nel buttar fuori, da un copione stinto, battutacce. Nessuno ha più il coraggio d’urlare al cattivo gusto. Ricordando, quanto asseriva per antonomasia il principe della risata “Signori si nasce”. Disdegnando griffe. Drammatico non saper più sorridere in modo sano. Perchè ormai avvezzi alle sovrastrutture. Difficile che il comico riesca ad accreditarsi senza spigolare in modo malsano? Che un Sordi abbia fatto il suo tempo, come Montesano, passi pure. Ma che il mattacchione Benigni, saltato in braccio a Papa Ratzinger, non sia una proposta contemporanea, è paradossale. Al di là della Vita è bella e delle cantiche dantesche. Un modo d’approcciarsi al pubblico senza violarne il pudore. Rispettandolo. E questo, non è poco!