Eutanasia e testamento biologico
Il caso di Eluana Englaro ha riacceso il dibattito sull’eutanasia e sul testamento biologico. Il tema è molto complesso ed investe una miriade di osservatori : medico, bioetico, religioso, e laico-giuridico. Eluana, ricorderete, è rimasta in vita, in stato di coma vegetativo, grazie ad un sondino che l’ha idratata ed alimentata per 17 anni. Si è molto discusso, e tuttora si discute, sulla equiparabilità dell’alimentazione forzata ad un qualunque trattamento sanitario, tanto che in parlamento giacciono diversi disegni di legge sulla materia. I due approcci tipici, il laico ed il religioso, sembrano confliggere, ma tra i due estremi esiste, tuttavia, un punto di contatto imprevisto. Mi spiego : il credente considera la vita come qualcosa di sacro, e per questo non oserebbe mai condizionarne la fine con interventi legislativi di tipo libertario. Il laico, al contrario, ritiene di essere l’unico padrone della propria esistenza, e dunque rivendica come legittimo il diritto di decidere, in modo esclusivo, sulla propria morte. Entrambe le tipologie, e queso è il punto, concordano sul fatto che la vita di ognuno non appartenga allo stato. Alla luce di simili argometazioni, appaiono allora superflui i distinguo, non solo sulla valutazione della idratazione e della alimentazione forzata, ma anche sul concetto stesso di “dolcezza” della fine ( eu-tanatos). Chi è padrone della propria vita dovrebbe, perciò, essere libero di interrompere la sua esistenza quando e come vuole. Non eutanasia, ma oltre l’eutanasia. Una buona legge sulla morte deve tener conto di un solo principio laicamente condiviso : la vita non è sacra ed appartiene solo a noi stessi. Ciascuno decida secondo la propria coscienza.