La Tortura: obbedienza all’autorità o deresponsabilizzazione?

Giovanna Rezzoagli

Recentemente il Presidente degli Stati Uniti Barak Obama ha preso posizione in merito all’utilizzo della tortura, con particolare riferimento al carcere di Guantanamo ed agli episodi accaduti in Afganistan ed in Iraq, dichiarando che gli Stati Uniti rispetteranno le “Convenzioni di Ginevra” anche nell’ambito della lotta al terrorismo. Le quattro convenzioni di Ginevra contengono un articolo comune, l’articolo 3, che riguarda i conflitti armati a carattere non internazionale, che si verificano nel territorio di uno degli stati contraenti. Tale articolo contiene un insieme di divieti inderogabili, in qualsiasi luogo e in qualsiasi circostanza. Esso vieta:la violenza contro la vita e le persone; la cattura di ostaggi; l’oltraggio alla dignità personale, e in particolare i trattamenti umilianti e degradanti; l’emissione di sentenze di condanna e le esecuzioni effettuate senza regolare processo.La quarta convenzione è la Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949, diversi articoli della quale hanno rilevanza diretta per le donne, perché tesi a prevenire comportamenti che spesso vengono usati come armi di guerra, quali lo stupro e le violenze sessuali. Ma che cosa si intende per “tortura”? L’immagine stereotipata della tortura, diventata ormai elemento dell’immaginario collettivo, è legata alle violenze commesse soprattutto in epoca medievale. In realtà  per tortura si intende qualsiasi metodo di coercizione fisica e/o psicologica  applicato ad un soggetto col fine di punire, di estorcere confessioni e/o informazioni, di trarre piacere dalla soggiogazione e dall’osservazione delle sofferenze  altrui. Talvolta chi tortura si avvale di tecniche e strumentazioni appositamente studiate e create per conseguire al meglio i propri obiettivi. In tempi moderni, ad esempio, ci si avvale frequentemente dell’elettricità sia con apparecchiature complesse sia con strumenti più “semplici” come la picana (pungolo elettrico “utilizzato” per il “controllo” del bestiame al pascolo). Presente sin dall’antichità, la tortura nel mondo greco e romano trovava applicazione come strumento giuridico nella duplice veste istituzionale di mezzo per ottenere testimonianze valide e di strumento di punizione. Nel primo caso veniva applicata nei confronti degli schiavi, la cui testimonianza, a parte rare e determinate eccezioni, non avrebbe  avuto valore nel corso di un dibattimento, se non fosse stata estorta tramite la tortura, essendo lo schiavo niente altro che uno strumento dotato di anima che risponde con il proprio corpo nel momento in cui deve dare conto all’autorità. Nel secondo caso la tortura era il metodo attraverso il quale si applicava una condanna a morte nei confronti degli schiavi, ma anche nei confronti di cittadini liberi, ma stranieri. In epoca medievale nell’886 d.C. papa Nicola  aveva dichiarato che la tortura non era ammessa né per le leggi umane né per le leggi divine, perché la confessione deve essere spontanea e nel XII secolo il decreto di Graziano aveva ripetuto la condanna di questo metodo. Dal XIII secolo la tortura era stata reintrodotta nella giustizia civile ed era poi passata alla giurisdizione ecclesiastica. Innocenzo IV autorizzò l’uso di metodi coercitivi per ottenere la confessione, tra cui il prolungamento della prigionia, la privazione degli alimenti e, in ultima istanza, la tortura. Ogni Paese ha la sua storia, fatta di orrori perpetrati da uomini verso i loro simili. Ma che cosa spinge un soggetto a torturare? Lo psicologo statunitense Stanley Milgram è autore di vari contributi che riguardano la vita nelle grandi metropoli, la relazione tra il potere di condizionamento esercitato dalla televisione e i comportamenti antisociali. Ma il suo nome è soprattutto legato agli studi riguardanti la determinazione del comportamento individuale, da parte di un sistema gerarchico e autoritario che impone obbedienza. Nel 1961 egli condusse un celebre esperimento della durata di un’ora, presso i locali dell’Interaction Laboratory dell’Università di Yale, teso a verificare il livello di aderenza agli ordini impartiti da un’autorità, nel momento in cui tali ordini entrano in conflitto con la coscienza e la dimensione morale dell’individuo. In questo esperimento una figura incarnante l’autorità impartiva ad uno studente l’ordine di somministrare scosse elettriche di intensità sempre maggiore ad un altro studente che doveva apprendere a memoria una serie di parole (le scosse erano una finzione e lo studente vittima un attore, ma il soggetto indotto ad obbedire ne era ignaro), con lo scopo dichiarato di verificare l’effetto della punizione sul grado di apprendimento. Contrariamente alle aspettative di Milgram, nonostante i soggetti  mostrassero tensione e proteste, una alta percentuale di essi obbedì allo sperimentatore sino a limiti estremi. In questi casi nel soggetto prevalse la norma di obbedienza ad una autorità che si assumesse la responsabilità del comportamento violento e disumano applicato all’”Altro”. I risultati di questo esperimento hanno fornito un nuovo ed inquietante modello di comportamento umano, utile comprendere la distruttività di comportamenti di obbedienza volti a generare sofferenza, sia al singolo che ad intere collettività. Nel caso dell’inquisizione trova riscontro questa risultanza perché il torturatore perseguiva uno scopo nobile e giustificato dall’autorità religiosa, ma anche in contesto militare la gerarchia di fatto impone ed autorizza la violenza, deresponsabilizzando il singolo. Il senso della responsabilità. Tutti sappiamo cosa rappresenta, in molti lo deleghiamo, lo fuggiamo, lo consideriamo competenza altrui, ci deresponsabilizziamo. Alcuni di noi lo guardano riflesso nella loro mente, tentano di gestirlo. Semplicemente  lo vivono, magari con fatica, giorno per giorno. Consapevoli che esiste un istante nella vita di ciascuno in cui non può sfuggire a se stesso. Un istante che può essere breve come la vita, eterno come l’inferno.

Estratto da “http://it.wikipedia.org/wiki/Stanley_Milgram