Empatia: la risonanza interiore che allevia le ferite dell’animo

 Giovanna Rezzoagli

La parola deriva dal greco “εμπαθεια” (empateia a sua volta composta en- “dentro” e pathos “sofferenza o sentimento”), che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico. L’empatia  è la capacità di immedesimarsi in un’ altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. Nella comune accezione corrisponde al concreto “mettersi nei panni degli altri”. Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da uno sforzo di comprensione intellettuale dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie. La nozione di empatia è stata oggetto di numerose riflessioni da parte di intellettuali come Edith Stein, Sigmund Freud o Carl Rogers. Quest’ultimo, psicologo statunitense vissuto nel secolo scorso, è  considerato il padre fondatore del Counseling, una disciplina  strutturata sull’empatia e sul rispetto assoluto dell’”Altro”. Il soggetto empatico non preparato professionalmente a livello emotivo corre il rischio concreto di scivolare nella cosiddetta “iperempatia”, condizione nella quale è molto rischioso addentrarsi, perché si perde capacità di oggettivare il contesto della persona con cui si è stabilita la relazione comunicativa. Ciascuno di noi ha fatto esperienza di condivisione di un pensiero, di un’esperienza, di un momento di sconforto. A livello amicale molto spesso capita di ricevere parole di conforto o di approvazione, ma il vero supporto in genere si riconosce a posteriori, e consiste nel facilitare il soggetto che è sofferente a prendere consapevolezza del proprio problema. In ambito sanitario, ma anche in svariati ambiti  a livello sociale, l’empatia rappresenta è un modo di rapportarsi non sempre istintivo, che implica l’abilità di saper ascoltare e raccogliere informazioni, e quella di dare fiducia e sostegno al paziente. Si tratta di un approccio che, per essere messo in atto con efficacia, richiede un training che metta in grado l’operatore di gestire le proprie e le altrui emozioni e consenta l’apprendimento di tecniche specifiche di comunicazione. Tuttavia è un investimento che vale la pena di effettuare: l’utilizzo dell’empatia nelle cure mediche ed infermieristiche ha un impatto che va molto oltre il semplice aumento di gradimento delle prestazioni sanitarie da parte del paziente. Consente infatti di aprire un canale comunicativo con lui, permettendo di accedere più facilmente alle informazioni chiave sul suo problema, individuare l’approccio terapeutico più appropriato, fornire con più efficacia le informazioni e le indicazioni rilevanti e aumentare la compliance del paziente rispetto alle cure. Non ultimo, rende più gradevole ed agevole il lavoro anche allo stesso operatore sanitario. Appare pertanto auspicabile una diffusione di questo nuovo modo di rapportarsi con l’altrui sofferenza, anche se è indiscutibilmente molto più oneroso di un approccio mutuato dal filtro dell’indifferenza. L’empatia risuona interiormente nella persona che soffre e aiuta a sentirsi meno soli di fronte alla sofferenza.