Salerno: nona giornata Arti di Maggio
Musica e poesia per la nona giornata della seconda edizione di Arti di maggio, una rassegna che si rivela quale incrocio sonoro di linguaggi espressivi, promossi dall’Associazione Seventh Degree, di Liberato Marzullo e Antonello Mercurio, fortemente voluta dagli assessori Vincenzo Maraio e Gaetano Arenare, ospite della kermesse Salerno Porte Aperte allestita dal Comune di Salerno. Domenica 24 maggio, alle ore 21,30 l’appuntamento è nell’abituale cornice della Chiesa dell’Addolorata, per un récital del baritono Francesco Puma, che sarà accompagnato al pianoforte da Mario Gagliani. Il programma principierà con l’aria di Rance dal I atto de’ “La fanciulla del West” di Giacomo Puccini “ Minnie, dalla mia casa son partito”, uno splendido andante sostenuto in cui il dichiarato cinismo del personaggio è contraddetto da una melodia dal carattere nobile e appassionato. Finemente colta è la scelta di continuare con “O du, mein holder Abendstern” dal Tannhauser di Richard Wagner: nell’opera di Puccini i riferimenti al genio tedesco sono diversi, dal motivo della redenzione che rimanda a Parsifal alla figura di Minnie che evoca die Walkure, sino alla citazione del tristanakkord in orchestra nel momento in cui la protagonista decide di nascondere Johnson ferito. La celeberrima aria di Wolfram è un Lento nel cullante tempo di 6/8, un brano strofico e sottoposto a rigida quadratura melodica che si riallaccia al tipico stile della romanza italiana, della quale mantiene anche la leggerezza dell’accompagnamento. Ritorno in Italia con il Gioacchino Rossini del Guglielmo Tell e l’aria della mela “Resta immobile”, simbolo di un’anima straziata e piena d’amore. Un’aria che non ha più la sagoma del tempo, trasformata, com’è in pura recitazione melodica. Da Rossini al Bellini de’ “I Puritani” con “Ah, per sempre io ti perdei”, la cavatina di Riccardo dal I atto prima di un vero e proprio omaggio al Giuseppe Verdi maturo con l’aria di Jago dall’ Otello, con la quale insinua il sospetto nel moro “Era la notte” “detta” mellifluamente a fior di labbra, per poi passare al Don Carlos con le due arie di Rodrigo condannato a morte “Per me giunto è il dì supremo” e “O Carlo ascolta, io morrò”, preannunciante la grande sommossa. Il finale è riservato ai Pagliacci, con il celebre prologo “Si può”, una verità che sale dalla memoria e che Ruggero Leoncavallo ha fermato ancora in movimento, come in un obiettivo fotografico, con le stranezze e durezze della condotta armonica, in cui sta la grottesca, e anche allucinata caricatura di questi esseri comici dal trucco che si disfa.La serata di domenica continuerà presso Palazzo Genovese alle ore 22, con un incontro con la poesia di Angela Bonanno, a cura dell’associazione Art a part. In occasione della sua recente pubblicazione “Amuri e vadditi” la poetessa catanese dialogherà con Alfonso Amendola ed Emilio D’Agostino, per ricostruire respiri e matrici della sua poesia di vocazione presocratica.Lunedì 25 maggio, nella chiesa dell’Addolorata, alle ore 21, il teatro-laboratorio del liceo Artistico “Andrea Sabatini”, coordinato da Bruna Alfieri, franco Longo, Luciana Cicoria e Franco Nappi, presenterà “Uccidiamo il Chiaro di luna”. Uccidiamo il Chiaro di Luna” fu il motto futurista per eccellenza, forgiato da Marinetti per incitare gli animi alla vita attiva e guerriera dopo il languente e femmineo momento della belle epoque e la corruzione spirituale degli agi e della lussuria tipici della pace (e del neutralismo) senza altro scopo, simboleggiato dall’immagine tardo-romantica del plenilunio sulla laguna di Venezia, un tempo serenissima potenza marinara e ora soltanto luogo di sospiri per turisti e mercimoni di ogni genere (giova ricordare che il sei-settecentesco neutralismo di Venezia, il continuare ad esistere “per accidente”, rinunciando alla forza militare e reggendosi sulla sola diplomazia fu il motivo per cui la stessa fu tanto debole da non resistere al primo soffio di vento, permettendo a Napoleone di cancellare in pochi giorni una storia millenaria). Marinetti esorta dunque a privilegiare in senso etico ed estetico l’aspetto industriale, attivo e militaresco degli arsenali e delle industrie a quello turistico e pseudo-poetico, ma in realtà soltanto putrido e languente, della laguna e del suo plenilunio, simboleggiando con questo la necessità per la Nuova Italia (quella che si prepara alla sfide del Novecento) di assomigliare più a una nuova potenza serenissima e dominante (come la Venezia conquistatrice e creatrice del Rinascimento) che non alla “cortigiana decrepita”(ossia alla Venezia ridotta a luogo di incontro amoroso per turisti stranieri e paganti). Questo significa “uccidere il chiaro di luna”: non uccidere la poesia o cancellare le grandezze del passato, ma eliminare i resti di una cultura sterile e impolverata e ritornare a quello spirito che permise un tempo proprio la creazione di quella grandezza (che non va conservata e mummificata come in un museo a prender la polvere, ma continuata e accresciuta). Riuscire in questa opera significa creare poesia nuova, non emulare quella vecchia, scegliere strade nuove di linguaggio e comunicazione, andare “oltre”.