Vico Equense:al biochimico Watson il Premio Capo d’Orlando

                

 Aniello De Martino

Il biochimico statunitense James Dewey Watson, classe 1928, ha contribuito, in maniera fondamentale, alla comprensione della struttura molecolare dell’acido desossiribonucleico (DNA) che costituisce il materiale ereditario della maggior parte delle cellule. Per questo straordinario lavoro l’eminente ricercatore condivise, nel  1962, il Premio Nobel per la medicina e la fisiologia con due scienziati britannici, Francis Crick e Maurice Wilkins. Ha ricevuto, nel corso della sua brillante carriera professionale, ben trenta lauree honoris causa. Proprio di recente è stato insignito del prestigioso Premio Capo cl’ Orlando che valorizza le eccellenze della ricerca scientifica internazionale. Ha ricevuto questo importante riconoscimento a Vico Equense, nel Castello Giusto, durante la manifestazione celebrativa organizzata dal Museo Mineralogico Campano in sinergia con il Comune di Vico Equense. Persona amabile, il grande scienziato palesa nelle relazioni esterne le sue grandi doti di umiltà e di affabilità. Ci racconta, con un picchio di nostalgia, i suoi inizi accademici e di ricerca:” Dopo aver ricevuto nel 1950 il dottorato in zoologia presso l’Università dell’Indiana e aver trascorso un periodo di stage a Copenaghen analizzando i virus batterici, iniziai la collaborazione con i ricercatori del Cavendish Laboratories all’Università di Cambridge.Insieme all’amico Francis Crick utilizzammo le tecniche di diffrazione dei raggi X messe a punto da Maurice Wilkins Roselind Franklin e da altri ricercatori di punta per studiare le figure di diffrazione del DNA, lavorando a fondo per determinare l’esatta struttura chimica di questa fondamentale molecola. Finalmente nel 1953 raggiungemmo l’obiettivo e costruimmo un modello molecolare del DNA”.

D. Professore quale fu lo sviluppo più evoluto di questa ricerca?

R. Dimostrammo che la molecola del DNA presenta una disposizione a doppia elica legata come una scala a spirale. Le due catene zucchero-fosfato, tra loro intrecciate, sono collegate da “scalini” formati da adenina tinina e guanina-citorina. Questo modello, denominato Watson-Wilkins ha avuto una profonda influenza su tutta la biologia in quanto ha aperto nuove strade a direzioni di ricerca, sia in genetica che in biologia.

D. Professore ritorniamo ora al suo avvincente percorso di ricerca e approfondimento scientifico.

R. Ho dapprima insegnato al California Institute of Tecnology (Caltec) e all’Università di Harward per poi collaborare all’analisi dei processi di chiarificazione per appurare come il codice genetico determini la sintesi delle proteine nelle cellule.

 D. Quali le esperienze che ricorda con particolare emozione?

R. La direzione, dal 1968, del Cold Spring Harbor Laboratory di biologia quantitativa a New York dove alcune ricerche hanno avuto uno slancio importante e la mia attività di divulgazione scientifica con alcune opere quali “la biologia molecolare del gene” e “la doppia elica” che hanno aperto nuovi orizzonti interpretativi agli studi e alle ricerche di settore.

D. Lei ha più volte affermato che la scienza avrà la meglio sui tumori. Sarà davvero cosi?

R. Certamente, se percorreremo, tutti insieme, la strada giusta. Esiste un enzima chiave, chiamato M 2, comune a tutte le cellule tumorali. Esso è presente in noi durante una prima fase necessaria per il suo sviluppo, ma può ripresentarsi in una seconda fase, generando fastidiosi problemi al nostro organismo. Bisognerà intervenire nell’ottica di inibire questo meccanismo degenerativo perverso, bloccando la crescita delI’enzima ed evitando la nascita e la proliferazione delle cellule cancerogene. Occorreranno però almeno altri dieci anni di studio e ricerche prima di intravedere un idoneo rimedio che argini finalmente il male del secolo.