L’ing. Francesco Terrone: meridionalismo vincente!

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L’orgoglio meridionale. Da riscattare sempre. A qualunque costo. L’ing.Francesco Terrone, vittima degli steccati razzisti nell’ambito dello stesso Stivale. Originario di Piazza Del Galdo, frazione del ridente Comune della Valle dell’Irno, Mercato San Severino, figlio del popolo esclamerebbe enfaticamente qualcuno, ingegnere meccanico, presidente ed amministratore delegato della Sidelmed spa, società d’ingegneria ramificata in tutt’Italia. Il suo studio, a Piazza Del Galdo, rimanda numeri e lirismo. Un eremo di calcoli algebrici, filtrati dai guizzi del cuore. Terrone ha vissuto sulla sua pelle la dicotoa che ancora alligna nel nostro Paese. Anche se dai toni stemperati. “Inviai ben 501 rose, col simboo del tricolore, a Bossi, una volta rientrato nel mio paese. Dopo quanto avevo vissuto al Nord. Un semplice biglietto d’accompagnamento, nel quale invitavo il senatùr a far capolino qui, al Sud, dove  risiedo, in qualità d’ing. Terrone. Il mio cognome, nulla a che vedere con l’odioso appellativo che marchia il nostro meridionalismo al Nord “terrun”. Dopo una breve parentesi, vissuta all’ombra dell’industrializzazione settentrionale, fuggii letteralmente, assediato dall’emarginate complicità sociale. Comunque tale esperienza arricchì il mio bagaglio esperienziale. Mi pungolò nell’orgoglio, mettendomi competitivamente in discussione con me stesso. Oggi sono una persona continuamente protesa a voler migliorarsi non per mero egoismo. La mia dimensione, che privilegia non la ghettizzazione umana nè esaspera l’egotismo, mira a poter concretamente essere d’aiuto ai bisogni della gente comune. Di qui, anche la ricerca d’un perfezionamento interiore con me stesso. E la poesia, le cui ali, non hanno confini. Dai messaggi di pace, al consumismo spirituale. La realtà partenopea m’affascina. M’ha dato molto Napoli con le sue contraddizioni. Le liriche che privilegio, infatti, toccano la città del Vesuvio. Ricordo che quando morì Totò,  ero proprio nella sua terra. E non potei non provare stupore per il decesso di un artista che aveva tanto dato alla napoletanità. Anche le liriche in cui viene spulciato il mio paese, la mia terra, acquisiscono notevole spessore. Annotate frettolosamente nel corso dei miei frequenti viaggi, scandiscono solo i moti del cuore. Rispettando l’unico tempo del senire.”