Il rettore Pasquino, metafora del pescatore
“Per un figlio di pescatore…” e via così, aveva detto, tra un inciso e l’altro, il candidato-rettore Raimondo Pasquino. Con quel pizzico di vena retorica ad effetto, buttata lì non a caso. Fatto sta che la ‘rete’ del pescatore si è gonfiata di voti, in un mare salato inospitale per i pesci di acqua dolce. Persico si rassegni! Qualcuno l’ha definita una vittoria bulgara. E’ vero, 612 preferenze su 901 lambiscono i confini di Sofia. Mentre i due rivali Persico e Sanguineti sono riusciti a raccattare a malapena 224 voti. Pasquino, quindi, cavalcherà l’onda lunga del periglioso e complesso mare di Fisciano per altri quattro anni. Mare divenuto, intanto, forza-dieci per la pesantissima tegola cadutagli sul cranio a seguito del recente arresto del Preside di Ingegneria Vito Cardone. “Una enormità!”, l’ha giudicata il rettore. Nell’incontro con i colleghi del Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali diretto da quel galantuomo di Massimo Mazzetti, Pasquino aveva avuto la bontà di citarci da subito, osservando di non condividere il nostro pensiero sulle criticate modifiche di statuto, grazie alle quali aveva potuto ricandidarsi per la terza volta. A Pasquino abbiamo ribadito di essere contrari per principio, e non per fatto personale, a più di due mandati. Perché, in democrazia, l’alternanza è fondamentale per impedire ai cosiddetti dritti di studiare la notte per il giorno alla ricerca dei cavilli giusti per incollarsi a vita alla poltrona. Perché un professore universitario ‘nasce’ innanzitutto come docente e come ricercatore puro e non annacquato. Perché il nostro paese vive accademicamente l’anno zero per quel disgustoso fenomeno di dilagante nepotismo che, anche tra i figli degli accademici, annovera tanti asini destinati a prendersi cura della formazione culturale dei figli del popolo. Chiarito il concetto, sul piano strettamente personale non ci dispiace che il “figlio del pescatore” abbia raggiunto il suo scopo. Perché, cavilli o non cavilli, questa è la democrazia. Ci dispiace, piuttosto, che abbia perso Pasquale Persico. Il quale ha commesso, in apparenza, un grave errore. Proporre un programma di avanguardia per una realtà locale non ancora pronta. Pasquino è e resta, dunque, per i propri sostenitori, l’uomo giusto al posto giusto. Perché, oggi come oggi, la grande e contorta macchina dell’ateneo salernitano, ricca di interessi che si intrecciano a dismisura, ha evidentemente bisogno di un pugno di ferro capace di farsi ascoltare negli ambienti che contano. Quelli in cui si decidono i grossi finanziamenti per un flusso immenso di denaro pubblico da investire in disparate forme nel cantiere infinito, non solo in muratura, di Fisciano. La politica, del resto, è così. O la si usa o se ne viene usati. E Pasquino, uomo pratico e scaltro, dagli ideali politici magari sbiaditi se non strumentali, se ne serve da sempre. Sa essere umile e cedevole pur di conquistare, sa muovere uomini e cose pur di consolidare la sua forza, sa battere i pugni sui tavoli che contano, pestando, se necessario, il ‘nemico’. Un bel trito di Shylock, Iago e Riccardo III messi insieme, incarnati in quel neo pescatore dell’era moderna che fu Gregorio Fuentes da Cojimar, indimenticato ispiratore dell’umile e forte ‘eroe’ hemingwayano dei mari del Sud. Metafora a parte, il rettore di una università così importante come quella di Salerno conta molto di più di un nugolo di parlamentari messi insieme. Checché se ne dica, quindi, Pasquino questa vittoria se l’è voluta, se l’è costruita, se l’è realizzata in base ad un disegno ben studiato, partendo da lontano. Altro che Iago! Dietro di lui, naturalmente, un intero apparato di sistema non solo accademico, che fa leva su ampi e potenti settori del territorio. Proprio per questo, il capitolo doloroso dell’arresto del Preside di Ingegneria Vito Cardone non ci voleva. Sul piano personale ci associamo alla solidarietà di Pasquino e di tutti i colleghi che hanno appreso la sconvolgente notizia dai giornali locali e nazionali. Così si fa quando una istituzione, disinteressata e non aggiornata dai soliti spioni su azioni giudiziarie in corso nei confronti di pur stimati colleghi, vede finire qualcuno di loro nei guai. Perché cosi si fece con il rettore Roberto Racinaro arrestato anni fa e rieletto a gran voce, per stima e solidarietà, mentre era ancora in carcere. E così si fece con il Presidente dell’EDISU, Sebastiano Martelli, quando, con altri colleghi, rimase implicato in un’altra grossa vicenda giudiziaria sull’università. Nessuno condannato alla fine. E così via. Mentre, quando così non ci si comporta, ed, anzi, l’istituzione a cui si appartiene infierisce pregiudizievolmente, all’unisono con altri, e da subito, contro non meno malcapitati e stimati colleghi, anch’essi innocenti fino al giudizio finale, allora sì che c’è puzza di bruciato. E, si sa, la puzza di bruciato, una volta messa a fuoco da addetti ai lavori competenti e disinteressati, prima o poi si ritorce contro qualche mente malata di potere, che si illude di usare tutto e tutti, fingendo di collaborare orientando in direzione A, mentre in realtà persegue l’obiettivo B. Illudendosi, naturalmente, di farla sempre franca. Per questo rivolgiamo anche noi a Pasquino un appello. Non chieda, questa volta, copia degli atti di indagine coperti dal segreto istruttorio riguardanti il Preside di Ingegneria Vito Cardone al Procuratore della Repubblica di Napoli. Eviti l’istinto, anzi l’impulso, e non reiteri ciò che fece anni fa allorquando, a seguito di un putiferio mediatico-giudiziario esploso ad orologeria contro di noi per una telefonata anonima, il Collegio dei Presidi (Preside Cardone incluso), “su impulso del Rettore” (Pasquino) “a seguito della pubblicazione su alcuni quotidiani locali di articoli di cronaca concernenti fatti di reato oggetti di indagine della Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Salerno”, chiese ed ottenne, dal Procuratore della Repubblica, l’autorizzazione “ad estrarre copia della documentazione relativa ad atti di indagine su gravi condotte poste in essere da personale dipendente”. E, cioè, verbali di intercettazioni, rapporti e copie di cassette di video filmati coperti dal segreto istruttorio. Tutta roba che potrebbe o potrebbe essere divenuta, di fatto, di pubblico dominio, nell’ambiente sia pure ristretto e curioso degli addetti ai lavori della pubblica amministrazione interessata. Pasquino faccia un’eccezione dunque per il povero Cardone e non reiteri l’iniziativa sia pure all’epoca motivata dalla esigenza di “potere effettuare verifiche inerenti a eventuali responsabilità disciplinari”. Faccia finta di nulla e attenda che a giudicare il Preside Cardone siano i giudici naturali, nei loro vari stadi di competenza! Non i soliti quattro scagnozzi asserviti e dislocati tra le mura di Fisciano, sui quali penderebbero ben altre e tuttora coperte e pesanti responsabilità!!
“Faccia finta di nulla e attenda che a giudicare il Preside Cardone siano i giudici naturali, nei loro vari stadi di competenza! Non i soliti quattro scagnozzi asserviti e dislocati tra le mura di Fisciano, sui quali penderebbero ben altre e tuttora coperte e pesanti responsabilità!!”
Questo l’epilogo dell’articolo del prof. Ingenito. Certo, un giornalista di professione avrebbe approfondito proprio l’ultimo aspetto. Solidarietà piena al prof. Ingenito, tuttavia.
Mi scuso con Ilaria Stambelli. Ma, per quanto strano, non mi ero accorto della sua osservazione sull’epilogo del mio articolo da “giornalista non professionista”. Intanto la ringrazio della sua solidarietà conclusiva.
Ciò premesso, il caso ha voluto che la mia risposta da “giornalista professionista” la si possa forse ritrovare, nella sostanza, in un successivo articolo, quello del 18 giugno 2009, dal titolo. OCSE BOCCIA LA SCUOLA ecc.
Se la Stambelli avrà la bontà di leggerlo o, eventualmente, di rileggerlo, APPROFONDITAMENTE, PERO’, troverà quel che avrebbe desiderato leggere in quello precedente. E la voglia di approfondire lei stessa ove lo ritenga l’intera questione. Da quella lettura la gentile lettrice capirà certamente la estrema delicatezza sottesa alle mie affermazioni, nei confronti delle quali nessuno dei diretti interessati (a livello istituzionale, s’intende, e non solo della specifica istituzione) oserà mai, come in fondo dovrebbe, sollevare il coperchio. Tali e tante potrebbero essere le ‘teste’ dei capoccioni a rischio per responsabilità formali e sostanziali, in solido tra l’altro, in certa gestione diciamo originale della cosa pubblica.
Cordialmente,
Michele Ingenito