Nuova legge sulla sicurezza. Le ronde: tanto rumore per nulla
Nel provvedimento sulla sicurezza trovano posto le ronde, fortemente volute dalla Lega: associazioni di cittadini potranno segnalare alle forze dell’ordine situazioni di disagio sociale o di pericolo. Saranno iscritte in elenchi, non potranno essere armate e prioritariamente dovranno essere formate da ex agenti. Arriva l’identikit del “rondista”: è quanto contenuto nella bozza del regolamento attuativo del Viminale. Chi ha a cuore la sicurezza dei cittadini e vorrà far parte delle ronde dovrà avere non meno di 25 anni, godere di buona salute fisica e mentale, nessuna dipendenza da droga o alcol, non aver avuto denunce o condanne per delitti non colposi, non aver aderito a movimenti o associazioni o gruppi organizzati. Solo chi rispetterà questi canoni potrà diventare “osservatore volontario”‘, come stabilisce la bozza del ministero dell’Interno. Certo che chi non si ritrova nell’essere rondista, inquadrato e canottato, può certamente continuare a fare il cittadino modello. Le sue armi sono gli artt. 333 e 383 del codice di procedura penale. Ogni cittadino, solo o in compagnia, che ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio, può fare denuncia agli organi di polizia giudiziaria e, quando il reato è grave, è, addirittura, autorizzato a procedere all’arresto in flagranza. Ma perché si ha necessità dell’intervento del cittadino, modello o rondista, per la sicurezza comune? Per quanto riguarda gli orari di lavoro delle forze di polizia, il dpr 11 settembre 2007, n. 170, prevede il turno di lavoro: 36 ore settimanali. Sono molto di meno, se si considera che per ogni giorno vi è la fase montante e la fase smontante dal servizio. E’ un tempo morto, perché inibisce ogni intervento. Per quanto riguarda le forze di polizia sul campo: hanno più compiti e mansioni ed organico insufficiente. Svolgono mansioni di polizia giudiziaria, di polizia amministrativa, di polizia di pubblica sicurezza. Molto spesso si distraggono i compiti principali per mansioni meno importanti, quale può essere la scorta ai vip, ai politici e alle istituzioni di secondo livello. Ma non è solo questo che inibisce la percezione di sicurezza dei cittadini, alla faccia della obbligatorietà dell’azione penale previsto dall’art. 112 della Costituzione. Le denunce e le querele che vengono presentate, di cui molte non hanno addirittura iscrizione a ruolo, perdendosi nei meandri degli uffici, sono prima filtrate dalle forze di polizia, con un intervento disincentivante di convincimento dell’inopportunità della denuncia o dell’infondatezza del reato, poi ricevono il vaglio del Pubblico Ministero di turno, che li iscrive al modello che più li aggrada: modello 21 (notizie di reato di persona nota), 44 (notizie di reato di persone ignote) e 45 (notizie non costituenti fatti di reato). Per cui sarà secondo sua arbitraria percezione far subire un processo ad un fatto denunciato. Quanto detto è suffragato dai dati del Ministero della Giustizia. Dalle statistiche pubblicate per distretto sul sito del Ministero della Giustizia, si nota che a fronte di decine di migliaia di denunce solo il 13 % hanno un definizione. Per poche di queste, poi, consegue effettiva condanna.Va da sé che il cittadino, sfiduciato, denuncia solo il 70% dei reati e nonostante ciò ci sono 3 milioni di reati all’anno, 333 all’ora, 5 ogni 100 abitanti. Certo non ristora la sete di sicurezza e giustizia il sapere che le carceri traboccano di detenuti, quasi tutti extracomunitari, se poi la maggior parte di loro è innocente: vuoi perchè non condannati con sentenza definitiva, vuoi perchè non hanno avuto adeguata difesa a causa della loro indigenza.Che i politici e i media parlino meno di canotte e più di impunità, meno mostri sbattuti in prima pagina e più colpevoli in carcere, forse così vale la pena essere un cittadino modello.
Presidente Dr Antonio Giangrande – Associazione contro tutte le mafie