La casta degl’ iconoclasti
Chi è l’intellettuale? Come riconoscerlo tra la folla anonima degli uomini comuni, degli uomini medi (e talora frustrati) che, nel loro insieme, formano la cosiddetta “massa”; cioè quell’oggetto, o soggetto collettivo, tanto studiato dai sociologi, dagli psicologi e dai pubblicitari? Quali tratti lo definiscono e lo distinguono da chi, appunto, intellettuale non è? Per Max Weber intellettuale autentico è chi si pone al servizio solo della verità e della conoscenza, quindi di nessun gruppo di potere economico o politico, di nessun partito e nessuna chiesa. Suo compito, anzi, suo dovere è la descrizione oggettiva, “scientifica”, e il più possibile completa dei fenomeni che incontra nella sua professione di studioso, senza mai dimenticare che i risultati raggiunti, per brillanti che siano, rimarranno sempre parziali e relativi agli aspetti e ai punti di vista presi in considerazione. Ogni nuovo risultato, quale che sia, sarà raggiunto per mezzo di metodiche e di tecniche in continua evoluzione; nessuna tecnica, nondimeno, potrà mai risolvere – ammette Weber – la questione posta da Tolstoj: la scienza è assurda perché non risponde alla sola domanda importante per noi: che cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo vivere? Messa innanzi a simili domande la scienza non può che rimanere muta, e non c’è tecnica o elaboratore elettronico, per potente che sia, in grado di decidere per noi nelle circostanze della nostra vita quotidiana, sulla bontà di un’azione piuttosto che di un’altra. Di fronte ai problemi etici, anche gli strumenti dell’intellettuale più raffinato si rivelano inutilizzabili; come ha ben spiegato Wittgenstein. “Le nostre parole, usate come noi le usiamo nella scienza, sono strumenti capaci solo di contenere e di trasmettere significato e senso, senso e significato naturali. L’etica, se è qualcosa, è soprannaturale, mentre le nostre parole potranno esprimere solamente fatti; così come una tazza contiene solo la quantità d’acqua che la riempie fino all’orlo, e io ne facessi versare un ettolitro”. In altri termini, riguardo a ciò che è bene e a ciò che è male, così lo scienziato come l’analfabeta si trovano nella stessa condizione, anzi, potrebbe anche darsi che, in certi casi, l’analfabeta risulti persino eticamente superiore allo scienziato. Alla luce di queste considerazioni, si comprenderà meglio l’asserzione gramsciana secondo cui “non si può pensare nessun uomo che non sia anche filosofo, che non pensi, appunto perché il pensare è proprio dell’uomo come tale (a meno che non sia patologicamente idiota)”; basta infatti parlare per partecipare a una comune cultura già, per così dire, incorporata nel linguaggio: si tratterà magari di cultura orale e popolare, fatta di tradizioni, credenze, riti, feste, superstizioni, idee e narrazioni vive nel “folclore”, ma sempre di cultura si tratta. Tutti gli uomini dunque pensano, ma non tutti si possono definire intellettuali; l’intellettuale, per Gramsci, non accetta la visione del mondo che ognuno trova fin dalla nascita nel proprio ambiente familiare e sociale e che l’uomo medio assorbe passivamente e acriticamente, ma anzi elabora un pensiero coerente e critico nei confronti del senso comune, che è poi l’ideologia funzionale al mantenimento delle strutture di potere delle classi dominanti. Siamo qui lontani dall’intellettuale puro vagheggiato da Max Weber. D’altra parte, anche il più puro degli intellettuali ha bisogno di mantenersi, cioè di mangiare, di bere, di riposare in un letto possibilmente comodo, di calzarsi e vestirsi dignitosamente, di viaggiare, di andare a teatro o al concerto, di fare qualche regalo di quando in quando, di pubblicare i suoi libri, ecc. (Purché, naturalmente, non si ritiri a vivere sul monte Athos!). E se alcuni compromessi con le strutture del potere economico e politico sono inevitabili anche per l’intellettuale puro, figuriamoci per quelli in servizio permanente ed effettivo di questo o quel potentato, di questo o quel partito, di questa o quella holding. Eh sì, perché non tutti gli intellettuali sono uguali, e ce ne sono di più o meno servizievoli, di più o meno “organici”, di più o meno eticamente sensibili. Prendiamo il caso della guerra mediatica in corso tra l’esecutivo e alcuni organi di stampa di opposizione che, come è noto, accusano il premier Berlusconi di aver mistificato e vezzeggiato l’opinione pubblica riguardo a certi suoi comportamenti privati non proprio degni di un salvatore della patria; che cosa dovrebbero fare quegli organi di stampa? Parlare d’altro, magari magnificando le opere del regime? Chiedere scusa per aver posto domande a cui il premier non può rispondere se non vuol perdere, come suol dirsi, la faccia? Adeguarsi e prendere per buone le spiegazioni di comodo e contraddittorie del premier circa le sue ormai famose “frequentazioni di minorenni” e le sue allegre cenette a sfondo erotico- prezzolato? Insomma, la stampa critica di opposizione dovrebbe smetterla di essere critica e di opposizione? Eh, ma la critica e l’opposizione, scrivono gli intellettuali al servizio dell’esecutivo, devono esercitarsi sulle questioni politiche ed economiche, non sui costumi privati dell’uomo Berlusconi, che, in fin dei conti, è un uomo come gli altri, e – come lui stesso ha detto in un raro momento di sincerità (o di debolezza?) – non è un santo. Già, ma gli intellettuali organici di cui sopra trascurano il fatto non trascurabile che la condotta privata sregolata di un premier non può non avere effetti negativi sulla sua immagine pubblica, quindi è proprio il caso di dire che avevano ragione i sessantottini a proclamare che il privato è politico, tanto più il privato di un uomo politico. Formalismi? Sofismi? Doppiopesismo? Certo non sono dei santi i politici all’opposizione, ma i loro peccati impallidiscono di fronte a quelli emersi a carico del premier. Calunnie? Dicerie? Insinuazioni?E allora perché il premier non risponde in modo credibile alle famose dieci domande di Repubblica? Una sua risposta è stata: perché me le ha poste Repubblica, una testata a me avversa! Ben trovata, vecchia volpe? Andiamo! Questo si chiama prendere in giro i cittadini. Altra questione: gli intellettuali “repubblicones” apparterrebbero a una casta dedita a firmare appelli contro la censura e a guardare dall’alto in basso chi non si allinea al loro antiberlusconismo “a prescindere”? Beh, se in questa casta si annoverano storici come Le Goff, scrittori come Sepulveda, Nadine Gordimer, David Grossman, Umberto Eco, capisco che chi ne è fuori possa soffrire di un giustificato complesso di inferiorità! Ma non è questo il punto, il punto è che, come scrive Barbara Spinelli sulla Stampa (anche la Stampa è prevenuta contro il premier?) “All’origine del dispositivo bellico c’è una sensazione di debolezza acuta: l’esecutivo ha l’impressione di non poter fare politica senza un’opinione pubblica che non solo approvi i suoi programmi ma esalti il capo considerandolo legibus solutus, non soggetto alla legge”. E’ vero: il capo carismatico non obbedisce alla legge, la fa. Però attenzione: un culto smodato delle immagini può suscitare reazioni iconoclastiche. Chi ha orecchi per intendere, intenda.