La logica della violenza sulle donne
Può la violenza nei confronti delle donne distorta ma ben radicata nella cultura. Anche nella nostra, senza scomodare quelle culture più repressive avere una sua logica? Purtroppo si, deviata e nei confronti dei diritti della donna. La violenza fisica e/o psicologica si manifesta in tanti modi. Tante, troppe volte, la vittima razionalizza la propria condizione e arriva persino a giustificare il comportamento violento. Un articolo comparso sul mensile “Mente e cervello” del mese di maggio 2009 redatto da Paola Emilia Cicerone, dedicato proprio alla complessità delle dinamiche psicologiche cui vanno incontro le vittime di abusi in ambito familiare, riportava alcune dichiarazioni raccolte da medici, psicologi ed avvocati che si occupano di assistere le donne vittime di violenza. Una frase mi ha profondamente turbato e la riporto testualmente: “Abbiamo litigato ed il mio ragazzo mi ha sbattuto contro la porta e poi mi ha preso a calci, ma non mi ha lasciato lividi. Questa non è violenza vero?”. Niente segni, nessun problema. E’ l’equazione che sottende l’abuso. Non a caso le segnalazioni e le richieste di aiuto aumentano quando le denunce sociali danno voce ad un problema troppe volte sottovalutato. Molte donne arrivano persino a credere di meritare i maltrattamenti che subiscono, minate profondamente nella loro autostima da continue denigrazioni che avvengono anche di fronte a figli e parenti. Nonostante l’argomento sia oggetto di denuncia sociale, specie negli ultimi tempi, con l’attivazione del numero 1522 su iniziativa del Ministero delle Pari Opportunità e si moltiplichino le iniziative di sostegno alle donne vittima di abusi, il fenomeno rimane in gran parte sottostimato, essendo molto difficile per la vittima prendere coscienza della propria situazione e riuscire ad attuare tentativi di richiesta di aiuto. I meccanismi di difesa più inconsapevolmente attuati dalle vittime sono quello, già citato, della razionalizzazione e quello della negazione. Per una donna abusata “credere” che la propria situazione sia “normale2 aiuta anche, in molti casi ad evitare un temuto confronto con la realtà esterna al proprio ambito familiare, una realtà che implica l’assunzione di responsabilità individuali, la possibilità di fallire in vari contesti, il dover vivere con molte incognite. La donna vittima di violenza tende ad evitare i contatti con l’esterno, o a ridurli al minimo, perché profondamente minata nella propria autostima. Il maschio violento tende ad isolare la sua vittima dal mondo esterno, la condiziona ad interrompere o a rendere sporadici i rapporti sociali, di amicizia, persino con la famiglia di origine. Economicamente la donna dipende spesso dal compagno violento, e deve chiedere soldi per ogni minima necessità. L’uomo violento attua tutte queste strategie al fine di dominare in tutti gli aspetti la vita della propria vittima. Le donne cresciute in contesti familiari in cui si sono concretizzate manifestazioni di violenza fanno fatica a riconoscere come abusi eventuali comportamenti alterati del partner, avendo sviluppato esse stesse una percezione alterata della vita di coppia. E’ importante sottolineare che l’ambiente in cui si cresce e si vive condiziona pesantemente il comportamento futuro di chi subisce e di chi assiste ad abusi, ma nessuno nasce con una predisposizione a meritare od infliggere maltrattamenti. Uso proprio il verbo “meritare”, perché molte donne subiscono ancora oggi il pesante pregiudizio di essere responsabili del comportamento aggressivo del partner. E’ fondamentale compenetrare il concetto che ciascuno è responsabile delle proprie azioni, e colui che maltratta non può essere in alcun modo deresponsabilizzato. Ma può essere aiutato a comprendere i perché della propria aggressività. Chi compie abusi è un soggetto che, spesso, non conosce modalità comportamentali ed espressive alternative della propria insicurezza e /o del senso di frustrazione che tutti inevitabilmente avvertiamo in svariate circostanze. Non di rado il soggetto violento appare ben compensato in ambito lavorativo e sociale, addirittura può apparire brillante. Salvo dismettere la maschera in casa. Le condizioni economiche e di disagio sono fattori che acuiscono il problema , ma raramente ne sono la causa prima. La violenza domestica si riscontra in tutte le classi sociali.. La sofferenza di chi subisce è la stessa. Occorre parlare e parlare del problema, per aiutare le vittime a prendere coscienza della loro condizione e trovare il coraggio di denunciare. La recente legge sullo stalking rappresenta un importante e concreto passo avanti, ma sarà necessario operare nel profondo del nostro sistema culturale, per aiutare le donne a capire che non sono nate né per soffrire né per subire, e che l’uomo violento non è sinonimo di uomo forte. L’uomo violento è un soggetto con gravi problemi da affrontare con l’aiuto di specialisti. E’ fondamentale potenziare i servizi di ascolto e di sostegno a chi riesce a denunciare. Perché chi ha subìto violenza non dimentica; può imparare a convivere col proprio doloroso vissuto, ma non dimentica, mai.