Lo scoraggiamento delle iniziative private
C’era una volta a Sestri Levante, un pescatore che stazionava con discrezione sullo spiazzo di un supermercato, e “de sutt al banc” svuotava rapidamente la sua “Ape” furgone perché con le vecchie 10000 lire il suo pesce andava a ruba e si imbastiva un’ottima cena di pesce freschissimo. E’ durato poco … ma se vi chiedete il perché, la storia si farebbe comica come per il pescivendolo Ordinalfabetix del villaggio di Asterix che conclamava: “che c’entra il mare coi pesci? Io vendo pesce di Lutezia, io rispetto il cliente …”. Dunque, evasione fiscale a parte (ma se andate a Firenze vi sfido a ritornare con un paio di scontrini fiscali in tasca) probabilmente è stata la soffiata dei colleghi che vendevano “pesce di Lutezia” (provenienza ignota ma passato sotto il benestare del grossista e della trafila di rito): meno fresco e a un prezzo ben superiore, ma in regola. Quindi è proibita di fatto una libera transazione tra due uomini liberi che comporti scambio di denaro anche di soli 10 euro … anche per modeste quantità di pescato. Si è tanto chiosato sulla “modesta quantità” per l’hascisc e non lo si vuol fare per una cassetta di pesce sicuramente fresco? Immagino che la stessa norma si applichi al pensionato che, presa in affitto una fetta di terra, tiene una quindicina di galline che cantano coccodè felici di vivere con le zampe per terra e al sole (e non di nascere e morire nell’incubo infernale delle gabbie) scodellano quella dozzina di ovette veramente fresche che non potrebbe vendere in alcun modo perché prive di un timbro su un guscio, ecc. ecc … Ma perché, a dispetto del timbro, quando le scuotete, almeno tre su sei di queste uova con il pedigree da “supermercato”, sbatacchiano come maracas? Che ci siano sotto gli interessi della Lobby degli intermediari? Io non sono un analista economico, e tantomeno sono ferrato in materia di diritto economico, ma sono un semplice consumatore tanto scoraggiato dal non assaggiare da anni pesce fresco nonostante il mare di Riva Trigoso mi si apra a due chilometri da casa. Di chi pescava “in piccolo” non è rimasta l’ombra o forse qualcuno ha approvato, senza che lo sapessimo, una legge che vieta di uscire in barca e mettere dei palamiti? C’era una volta anche una strada costeggiante un fiumiciattolo e una fila di orti dove si passeggiava muniti di una borsa e, anche qui, con 10000 lire si tornava stracolmi di verdure e frutta profumata. C’era una volta, perché una bella fila di condomìni da 6000 euro/metro quadro ha soppiantato questi orti “sconvenienti” e le verdure mummificate in bassi polimeri trasparenti sono le sole concesse, disgustosamente passate a vista prima di essere messe nel carrello al supermercato, dove tutto è decantato “fresco” e certificato con timbri e bolli come le “uova –maracas” (col timbro rosso). Penso a quei poveri pennuti nati in una incubatrice e che non toccheranno mai la terra con le zampe, salvo che non sia ovviamente certificato “da galline allevate a terra”, ( ma da chi?) e mi trovo stanco di essere così miscredente che ho iniziato la mia crociata personale contro gli allevatori di polli: così il problema è risolto a monte. E le verdure nei bassi polimeri? Finirà che sul terrazzo di casa si pianterà qualche timida zucchetta e qualche pomodorino in grandi vasi, sacrificando la bouganville e il gelsomino. Peccato per le galline … Con la crisi economica e i disincentivi agli “acquisti clandestini” non sarebbe saggio incoraggiare in concreto le piccole iniziative private con solo due o tre norme semplici? Senza bisogno di avere il timore della A.S.L. che ti fa causa o l’Agenzia delle Entrate con il capestro del “reddito presunto” e il Commercialista sempre al telefono? Ma ancora, perché non proporre poi una raccolta di firme per assimilare le galline alla dignità di “animali domestici” … in fin dei conti dà più fastidio la processione di motorini con la marmitta aperta (o il cane sporcaccione del vicino) o qualche gioioso “coccodé” nel giardino condominiale?