Università. Profondo nero

Michele Ingenito

Purtroppo è così. Lo ha detto a chiare lettere Andrea Lenzi, Presidente del Consiglio Nazionale Universitario, intervenendo a Roma venerdì scorso alla sessione plenaria dell’Associazione Italiana di Anglistica organizzata dall’Ateneo di Roma3. Il dibattito, presieduto dal presidente della prestigiosa associazione dei maggiori studiosi di lingua, cultura e letteratura inglese e del mondo angloamericano più in generale, Giuseppina Cortese, si è concentrato sullo stato di salute dell’università italiana e sul Sistema Universitario Nazionale in particolare. Lenzi ha prelimarmente respinto, non senza toni polemici, gli attacchi mediatici sulla presunta scarsa qualità della ricerca in Italia e dell’università. Evitando, però, di puntualizzare gli scandali molteplici e grossolani che, oggettivamente, hanno minato e minano un tessuto potenzialmente sano. Quello relativo alle poltrone di vertice di molti accademici, con evidente e profittevole compiacenza e benefici. Rettorati gestiti spesso per decenni infiniti tra nomine, proroghe, modifiche statutarie e quanto altro. Così come Lenzi non ha rimarcato un’altra disgustosa conseguenza di quei centri di potere al servizio, molto spesso, di boss immortali della politica, con casi infiniti di nepotismo immeritevole costituito da ‘geni’ fatti in casa e sistemati per gene e non per qualità, dalla produttività scientifica inesistente o, nella migliore delle ipotesi, rubacchiata a destra e a manca per la ‘disattenzione’ (in)comprensibile di commissioni al servizio di una distrazione ripagata, poi, a termine. Nella circostanza il presidente del CUN ha risentito positivamente della presenza di una folla di studiosi, tra i migliori in Italia e in più di un caso di forte ascendenza culturale all’estero, per rigettare al mittente, alla stampa cioè, la campagna a suo avviso ingenerosa e non realistica. Gesto nobile, ideale e concreto insieme, con un punto a favore di Lenzi. Avere difeso la categoria in generale sotto la spinta di un’associazione culturale e scientifica di altissimo profilo nazionale ed internazionale quale è l’A.I.A. Cosa che ha dato lustro, sul piano personale, al massimo rappresentante del CUN.  Non a caso, nei tre giorni di un congresso ricchissimo per quantità e qualità di interventi, la palma dei migliori spetta proprio ai giovani studiosi intervenuti: dottori di ricerca, dottorandi, assegnisti, borsisti, docenti a contratto. Ciò non esclude, in pari tempo, l’esistenza di un problema di vaste dimensioni, senza il quale l’università italiana non sarebbe stata scaraventata sul fondo della graduatoria mondiale dei paesi cosiddetti avanzati e, in più di un caso, anche meno. L’eccezione costituita dall’anglistica italiana e da altre associazione scientifiche non annulla, purtroppo, un indubbio stato di fatto. Perché, se la scienza è più che dignitosamente rappresentata nel nostro paese, è altrettanto vero che, al proprio interno, il sistema ‘vanta’ ampie zone di marcio da cui trae profitto solo ed esclusivamente la politica. Perché è la politica l’infiltrata numero uno della cosa pubblica. All’università, come nella stragrande maggioranza dei settori della pubblica amministrazione. Quella becera politica che, in nome della democrazia (ed è quel che ‘brucia’ di più), colloca puntualmente i propri luogotenenti sul territorio. Ossia gli ‘interpreti’ giusti che, in suo nome e per suo conto, distribuiscono, da bravi pupari, prebende, protezioni, posti e soldi. Non necessariamente in moneta. Gente mediocre, che alleva e piazza mediocri, che a loro volta fanno numero e si impongono sulla qualità. Che, al momento della conta (siamo in democrazia o no?) prevale sulla qualità.Perciò, quando il presidente del CUN ha annunciato tempi neri per i futuri professori universitari italiani, l’impossibilità, cioè, di entrare a breve e non a breve nei ruoli, sulla vivace platea è sceso un comprensibile e sofferto silenzio. I tagli recentissimi,di cui paga il prezzo anche la scuola, continueranno a produrre fughe di cervelli all’estero. Una vera tragedia per il nostro paese, per progetti di ricerca giudicati per quantità e parità e non per qualità, a mille euro l’anno per professori di ruolo. Roba da ridere. Figuriamoci per i giovani.Il momento più drammatrico, tuttavia, è stato quando il Preside della Facoltà di Lingue Straniere dell’Università di Torino, Bertinetti, ha rincarato la dose sulle reali possibilità di inserimento dei giovani studiosi nei ruoli accademici.“Scordatevelo per ora e per parecchio tempo a venire!”, ha concluso seccamente, ma con grande onestà intellettuale, l’illustre studioso torinese, con una franchezza pari alla trasparenza globale del suo intervento. Ciò vuol dire che milioni di investimenti in dottorati, assegni di ricerca, borse di studio, contratti a favore di migliaia di giovani tuttori impegnati nella ricerca saranno automaticamente neutralizzati con la loro messa sui marciapiedi per un investimento globale a perdere. Mancando la continuità, diminuisce la qualità, salvo trasferirsi all’estero, come è accaduto, accade e accadrà. Sono le leggi dell’economia? Con i fichi secchi non si celebrano matrimoni? Bene, allora rinunciamo al progresso e a tutto ciò che direttamente ne consegue in termini di miglioramento della qualità della vita, della salute, del pensiero, dell’evoluzione della nostra pur antica e gloriosa civiltà. Creando intervalli pericolosissimi tra lo stato della ricerca di questi giovani oggi ed una eventuale loro ripresa in tempi economicamente e finanziariamente migliori, si amplia lo steccato a danno della indispensabile continuità didattica e scientifica. Profondo nero, dunque, per l’università italiana, mentre il mondo anglosassone continuerà scientificamente ad avanzare (grazie anche ai nostri cervelli) e noi a stare al passo. A meno che Cortese, Lenzi e Bertinetti non abbiano detto sciocchezze, manifestando così drammaticamente le loro preoccupazioni, le loro esperienze, i loro disagi. Noi non lo crediamo. Anzi, li condividiamo profondamente. Per quei giovani il rischio è che, al termine del loro pur proficuo percorso culturale e scientifico annuale, biennale e/o triennale, se ne torneranno a casa. A Salerno, in Campania, come nel resto d’Italia. Magari contenti di uno ‘sfruttamento’ certamente proficuo in termini culturali, ma miserevole in termini di sopravvivenza economica. Che pure serve, signor ministro! Ai tempi di Stalin fu chiesto ad un suo uomo di partito quale fosse la definizione del capitalismo. “Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo!” rispose quel leader bolscevico. “E del comunismo?” “L’esatto contrario!” Invertendo l’ordine degli addendi…!