Beato don Gnocchi, padre dei mutilatini
di Rita Occidente Lupo
In Piazza Duomo, ai piedi della Madonnina, commozione e lacrime per don Carlo Gnocchi, indimenticato «padre dei mutilatini». La sua proclamazione, nel registro dei Beati alla presenza del cardinale Dionigi Tettamanzi, del legato pontificio, monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi. In occasione dei suoi funerali, il 1° marzo 1956, 100.000 persone in Duomo ed in piazza, per lui nato nel 1902 a San Colombano, al Lambro. Terzogenito, figlio di un marmista e di una sarta, a cinque anni la perdita del padre. Ben presto la sua vita si connotò di quello spirito caritatevole che l’animò durante la seconda guerra. Altruista, fino al dono delle proprie cornee a due ragazzi ciechi, sul letto di morte. Il suo sacerdozio, in oratorio, proseguito all’Istituto Gonzaga e all’Università Cattolica, al fronte di guerra con gli alpini. Una serie di case, 28, ospitanti le categorie più ferite nel fisico, piccoli mutilati e poliomielitici, ramificate in tutt’Italia. Oggi, la «sua baracca», cresciuta in questi anni, porta il suo nome e ne perpetua il carisma, grazie alla Fondazione omonima. Il cardinale Carlo Maria Martini, nel 1987, avviò il processo di canonizzazione. Il miracolo attribuitogli, nel 1979 a Orsenigo, in provincia di Como: un elettricista, Sperandio Aldeni, sopravvissuto a una mortale scarica elettrica, appellandosi a lui. Educatore dei giovani, cappellano degli alpini nella drammatica ritirata di Russia, padre dei mutilatini, precursore della riabilitazione, imprenditore della carità, don Gnocchi morì a Milano di tumore. Un volto sorridente, un amico su cui contare, una spalla su cui piangere: questo per tanti nel dolore, per molti giovani in cerca della propria strada. Per quanti minati nel fisico, grazie a lui, scoprirono la fede e la rinascita in una dimensione soprannaturale di salvezza.