Napoli, spara
Napoli spara. Non è il titolo di un vecchio film cult di Mario Merola, e neanche il refrain di una canzone neomelodica suonata dalle radio locali della periferia vesuviana. Sono le immagini di un omicidio compiuto, in pieno giorno, nel rione Sanità, e mandate in onda dalla Questura di Napoli per dare un nome al suo esecutore. Nel video si vede un tale con un berretto che spara alle spalle un uomo, fermo all’ingresso di un negozio, nella totale indifferenza dei passanti. La crudezza dell’esecuzione scompare nel dinamismo della metropoli, soffocata dai rumori del traffico e ignorata dalla consuetudine al terrore di chi sopravvive in quei luoghi impervii, rassegnato alla peggiore nefandezza. “Questa è Napoli” intitolava un quotidiano l’indomani della divulgazione del video. Come dargli torto. Come dissentire dal giudizio perentorio di quel giornalista dopo l’ennesimo episodio raccapricciante. Napoli sembra avviata verso un degrado senza fine, condannata dai suoi abitanti ad un declino ineludibile. Nessun sussulto, nessun segnale di riscatto, nè di orgoglio, contraddice una tendenza smentita solo da pochi fuochi sacri dell’arte, i soliti nomi che amiamo citare per salvare la faccia di un popolo che sembra più incline alla dominazione altrui che all’autogoverno. Lo dico con rammarico, ma questa è la Napoli dei napoletani. Una città molto diversa da quella greco-romana, dalla capitale spagnola e da quella francese che faceva arrossire il mondo intero per la sue bellezze e la sua magnificenza. Oggi Napoli procede sul filo fragile del ricordo, quello dei tiemp’ bell’ e na’ vota, soggiogata dalla delinquenza e dalla volgarità di chi la abita senza neppure conoscerla. Sergio Bruni, uno degli ultimi moikani partenopei, era solito distinguere i napoletani, quelli per bene, dai “napolesi”, i lestofanti che gettano discredito sulla città. Il problema è riconoscerli.