Mercato San Severino: premio internazionale di regia
Il 25 e 26 novembre scorsi, presso il Centro Sociale “Biagi” di Mercato S. Severino, si è tenuta una delle fasi finali del Premio Internazionale di Regia Teatrale “Fantasio Piccoli”, istituito a S. Severino dalle associazioni “Compagnia Stabile Città di Mercato S. Severino” – con a capo il direttore artistico nonché responsabile della scuola di recitazione e dizione “Copeau” (sempre a S. Severino), Alfonso Capuano – e dal sodalizio “Interlunium”, “gemellato” con la Compagnia Stabile.Dopo aver proposto recentemente la interessante e valida kermesse-rassegna-concorso (sempre teatrale) intitolata “Rota in festival” (sebbene tale iniziativa, rivolta ala nuova drammaturgia e ai gruppi, giovani o meno, emergenti non abbia riscontrato proprio un successo “planetario”, ma solo un cauto e tiepido ottimismo da parte del pubblico, pur essendo inoltre stato pubblicizzato ampiamente), ecco le fasi preliminari del prestigioso appuntamento a livello appunto internazionale, che si sarebbe dovuto iniziare il 24 e/o protrarre al 27, ma a causa di un improvviso blackout il 24 sera, il tutto è stato rimandato a mercoledì 25 e a giovedì 26.Hanno mostrato la propria abilità sei registi (teatrali, ovviamente) a queste due serate, sei professionisti e/o amatori, impegnati e seri, divertenti, ironici ma soprattutto istrionici, emersi tra i numerosi partecipanti alla selezione precedente, operata in vari sedi di Italia, con ben 12 festival (tre europei) e a cura di Estro Teatro (Trento) e della compagnia “Gianni Corradini”, che hanno svolto davvero un ottimo lavoro. Nel novembre 2008 l’argomento era “Amleto” del celebre drammaturgo William Shakespeare, mentre questa volta si è andati più sul “classico” nel senso “greco” del termine; allo studio dei fautori e degli aspiranti vincitori ecco il tema deciso per il Premio: “Le baccanti” del celeberrimo tragediografo greco Euripide, a tutti noto come padre della tragedia ellenica assieme a Eschilo e Sofocle, nonché annoverato tra i classici come pure lo è il commediografo Aristofane. Nella due giorni, dunque, ogni regista ci ha messo del suo, producendo spettacoli validi e veramente ad alto livello, alcuni più difficili, altri più immediati, intuitivi. Alcuni hanno mosso sui canoni accademici, altri (la maggior parte) hanno rivisitato – pur nel poco tempo e coi pochi mezzi a disposizione – il testo, capovolgendolo, spesso attualizzandolo, dando un messaggio efficace odiernamente, estrapolando soprattutto il quinto capitolo del dramma, puntualizzando sui corifei, sull’essenza del coro, appunto, e del deus ex machina. Tutto questo e molto, molto altro ancora nell’ambito del festival, ricco di spunti per una riflessione serena e proficua, in un discorso lunghissimo da tessere, come la tela dell’omerica (?) Penelope, moglie dell’astuto (il “callidus”) Ulisse o Odisseo; un mondo di rabbia e sentimenti violenti, senz’altro, quello ricostruito dalla tragedia. Ecco, per la cronaca un brevissimo sunto del complesso universo di emozioni ricco di schemi e canoni e di implicazioni psicologiche e sociali quale pensiamo sia e rappresenti (con l’umanità di tutti i suoi personaggi) il teatro ellenico: la Baccante (sacerdotessa dei Misteri di Dioniso-Bacco-Pan, satiro e dio del sesso, ma anche delle libagioni, del vino, del lato disordinato della vita, appunto oscuro, “dionisiaco” e non “apollineo”, cioè efebico) o Menade Agave, madre del giovane maschio (gli uomini nella società greca contavano molto più che le donne) di nome Penteo, invasata dal dio Dioniso, vendicativo e furioso contro le sue “sorelle” Baccanti o Menadi (etère), ree di averlo “dimenticato”, uccide il figlio senza accorgersene, e gli toglie lo scalpo, la chioma, senza essersi accorta che in realtà la “preda” è il figlio.Se ne accorgerà alle parole e al richiamo dolorosissimo di Cadmo, nonno di Penteo e padre di Agave, accecato, impazzito dall’onta di aver in qualche modo “permesso” ala giovane donna di uccidere il figlio maschio e accecato dal dispiacere. Una volta tolto il velo che il vindice dio le ha posto dinanzi agli occhi, anche Agave sverrà per il dolore, comprendendo solo adesso ciò che ha fatto: è un po’ come alcune madri di oggi che uccidono i figli mossi o da una cieca depressione post partum o da disturbi psichici che annebbiano, obnubilano i loro occhi e la mente, come se fossero anche esse invasate da un terribile dio rabbioso. Nell’ambito della prima serata, il primo regista in gara e cioè Giuseppe De Vita da Napoli ha portato sulla scena un adattamento moderno ed attuale de “Le Baccanti”, inserendo il testo classico nel mondo e nel sentire comune di oggi, attraverso flashback, prolessi, invenzioni tragiche e sorprendenti in un messaggio rivolto contro la droga che sconvolge i sensi e fa commettere delitti immani, immani scenari di violenza e di odio.Intento di De Vita il fare attenzione alla “commedia” (sia pur funesta) del morire, dell’ammazzare, come succede nella Napoli di oggi, quando la gente in mezzo alla strada è ormai “abituata” a vedere uccidere senza voler fare nulla, nell’indifferenza generale. Di alto livello, anche se più comica, ma comunque ben resa in scena con ironia e pochi spazi vuoti sul proscenio, la seconda piece della prima soiree: in essa il regista Angelo Perotta ha capovolto il testo in omaggio e sulla scia del grande Massimo Troisi, in maniera avanguardistica, di avanspettacolo, tipo un cafè chantant. Bravi i suoi attori. Il terzo regista in scena, Vincenzo Albano, è studente del Davimus (una sorta di Dams) dell’Ateneo salernitano, facoltà istituita da poco e comprendente discipline artistiche, visive e musicali per entrare nel mondo – sempre più inflazionato, dobbiamo dire – dello spettacolo e della critica cinematografica o televisiva/teatrale. Il suo spettacolo, con attrici della “Copeau” di cui anche lui era allievo, è stato improntato alla tradizione greca con ombre e luci fioche sul palco, in un’attesa panica e paurosa, ricca di sgomento e di fantasmi osceni. Ed eccoci alla seconda serata: il primo regista a calcare letteralmente le scene, assieme a due sue bravissime allieve che hanno riempito benissimo lo spazio senza lasciare spiragli di silenzio (anzi, essendo musicali pur nella mancanza di musiche, con gemiti e pianti e urla e grida appunto come suoni) è stato Vincenzo Maria Lettieri, da Frattaminore, col gruppo “Libero Teatro Vivo”.Egli ha impersonato Dioniso, ha fatto da deus ex machina-elettricista nel provocare ombre e fiotti amari di luci, in un crescendo di sensazioni oscure e misteriose, misteriche, ossessive, dissacranti. Le donne impersonavano le Menadi spiritate ed agitate, vaneggianti e febbricitanti, in un modo impegnato e doloroso. Il regista ha spiegato che nel testo euripideo ha molto apprezzato il tema della “cattività”, del vivere in una gabbia, nella lontananza.In più l’eloquente argomento del matricidio, un vero orrore. Kosmos e caos, reale e irreale, razionale e irrazionale anche nello spettacolo di Valentina Mustaro di Salerno, assieme al gruppo “La ribalta”: la stessa responsabile lo ha poi svelato interloquendo – come hanno fatto tutti nel corso delle due serate – con il pubblico, sparuto ma attentissimo, insieme alla giuria. In scena il teatro stesso, in scena l’ironia, anche per ciò che concerne l’ultima regista: Chiara Becchimanzi da Latina, che ha alluso al potere, paragonando quello del dio Dioniso, rappresentato da un attore nelle parti di un nano, alla voglia di primeggiare moderna, con un potere cieco, nano e ballerino. Forse questa ultima rappresentazione è stata la più originale – a nostro parere – con tante donne barbone, mondine, “buffone”, che sbeffeggiano (il modo è più beffardo che mai) lo stesso potere, la autorità costituita, il nano, appunto. Il mondo dei nostri padri è dunque corso e ricorso storico (ma anche filosofico, letterario e non solo) del nostro mondo: sembra che non sia proprio cambiato nulla, da allora. Le madri uccidono i propri figli oggi più che mai, il potere rende tutti ciechi, la moralità è mortificata, i costumi divengono sempre più libertini.