La Vigilanza

 Donato Ogliari

Le esortazioni alla vigilanza nella Sacra Scrittura sono molte.  Anche il Nuovo Testamento contiene diverse esortazioni ad essere “vigilanti” .L’uso del termine greco nhvfw, impiegato nel nostro testo – e il cui senso letterale è appunto quello di “essere sobrii”, in contrapposizione all’ubriachezza – indica l’attitudine a padroneggiarsi nello spirito, ossia a “vigilare responsabilmente” su se stessi e sul proprio operato.Tale attitudine appartiene al saggio, al temperante, al prudente, a colui che è libero da qualsiasi ebbrezza mentale o spirituale dovuta alle passioni che si agitano nel cuore umano. È colui che, riuscendo a gestirsi con responsabilità, sfugge all’ottundimento spirituale.Un altro aspetto originale della nepsis neotestamentaria è l’attesa escatologica, come rivela il passo di 1Ts 5,4ss: “Ma voi fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro…”. Smorzata l’inquietudine generata dall’interrogativo circa il “quando” della parusia del Signore, Paolo ne sottolinea il carattere imprevedibile. Bisogna essere pronti in ogni momento per non lasciarsi sorprendere, poiché il Signore arriverà all’improvviso, come le doglie per una donna incinta (cf. Ibid. v. 3).Questa vigilante apertura contrasta con la sciocca pretesa di chi si affida esclusivamente alle certezze e alle garanzie rassicuratrici offerte dal presente. Paolo critica chi si chiude al futuro e alla salvezza di Dio che ci viene incontro dal futuro. Poiché il cristiano è chiamato a vivere come “figlio della luce”, lucido nella mente e nel corpo, responsabilmente vigile e cosciente del giorno ultimo del Signore che viene, la sua vigilanza e la sua coscienza critica si traducono nel vivere autenticamente le caratteristiche essenziali e riassuntive dell’esperienza cristiana, nell’essere cioè “rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza” (1Ts 5,8).