Velenose storie di plagi e nepotismi. Talvolta fare i furbi non paga
Qualcuno ha sostenuto che il plagio è in fin dei conti un reato minore che punisce il reo col rossore della vergogna, e chissà se Gilberto Borzini docente universitario Torinese ha avuto le gote un po’ arrossate: gli farebbe onore, visto che negare l’evidenza è di pessimo gusto. Lo strumento telematico con l’arte sapiente del copia/incolla e, magari cambiando un po’ qualche termine, qua e là rende la tentazione più forte. Certo che un professore che scopiazza la tesi di Laurea di uno studente per pubblicarne pressoché immutati due capitoli su una rivista per di più nazionale è un po’ forte. Se avesse “copiato” citando il lavoro del “senza titolo” aggiungendo un minimo di farina del suo sacco, non ci sarebbe stato poi tanto di scandaloso. Invece l’ex “tesinaro” (oggi libero professionista) si arrabbia (giustamente) e aperto un bel contenzioso vince. Questo il caso della condanna, passata in giudicato, di un docente a contratto alla facoltà di Economia dell’Università di Torino. E il docente sembrava davvero convinto di non dovere nulla al “senza titolo” se sia in primo grado, sia in appello e, pochi giorni fa in Cassazione, ha sempre visto confermare la condanna. E così il nostro “professore a contratto” (capiamo tutti i suoi motivi di “sopravvivenza”…) oltre alle gote rosse, e alla fine ironia dei suoi colleghi “più furbi”, dovrà risarcire 20 mila euro all’ex studente – oggi libero professionista – oltre ad essere stato condannato a pagare una multa di 10 mila euro per il plagio. Evidentemente era una Tesi originale e di valore.