A 66 anni dall’ultima eruzione vesuviana

 

Giulio Caso

 

 La proposta che nasce dall’articolo “Tetti sicuri” è riferita solo alle zone urbane di possibile ricaduta di ceneri e lapilli (in genere nell’Agro Nocerino –Sarnese e località vicine). Nelle altre zone è ardua una ricerca di … tetti sicuri; anche se il sistema antico di costruzione utilizzato aveva una sua validità.L’ultima eruzione del Vesuvio avvenne nel 1944; precisamente iniziò alle ore 16,30 del 18 Marzo ; dopo che era crollato quasi del tutto il conetto centrale nella notte precedente. Nello stesso giorno la lava traboccò da una frattura del cono e, dopo aver attraversato l’Atrio del Cavallo, puntò verso Massa e S. Sebastiano. La velocità iniziale della lava era elevata (fra i cinquanta ed i cento Km/h), scendendo, rallentò notevolmente e raggiunse, ed iniziò a distruggere, i due paesi il giorno dopo, verso sera. Dal pendio Ovest, un’altra colata distrusse la funicolare ed attraversò i binari dell’antica ferrovia a cremagliera. Alle ore 17 del 21 Marzo, sul Vulcano, era iniziata la fase delle fontane laviche che raggiunsero l’altezza di vari chilometri. Dall’alba del 22 Marzo si sollevarono vapori, sabbie, ceneri, scorie e, soprattutto, lapilli che, spinti dal vento, iniziarono a ricadere, prevalentemente, in direzione Angri, Pagani, Nocera. A Poggiomarino arrivarono a cadere scorie del peso di 1 Kg. Su S. Giuseppe Vesuviano scorie dal diametro fino a 15 cm. Da mezzogiorno del 22 Marzo iniziò la fase delle Esplosioni miste con eruzione di frammenti delle rocce vulcaniche che andavano collassando. Si formò una nube che raggiunse i cinque chilometri di altezza. Un intero stormo di bombardieri americani che aveva bombardato Montecassino e che si trovava in un campo di atterraggio in prossimità di Terzigno venne quasi del tutto distrutto dai lapilli. Dopo la caduta dei lapilli, provenienti dal Vesuvio (22 Marzo 44), gli 88 aerei americani, rimasti a terra, nell’aeroporto di Terzigno rimasero quasi completamente danneggiati e sepolti. I lapilli provenivano da vecchie lave e blocchi frantumati nelle varie fasi esplosive dell’eruzione del Vesuvio;  espulsi, poi, violentemente dal condotto del vulcano . Il loro diametro,  generalmente, non superava i tre centimetri, ma sugli aerei caddero anche scorie di 15 centimetri di diametro, che aprirono ampi squarci nelle strutture degli aerei, specie, nelle zone di controllo aerodinamico. Sui paesi intorno al Vesuvio ed in particolare sull’Agro Nocerino i lapilli raggiunsero, in quel giorno, l’altezza media di 80 cm. Alcuni tetti sprofondarono causando decine di vittime. I cittadini, con il capo protetto alla meglio, spalavano il lapillo dai tetti e dalle terrazze delle case, contribuendo ad elevarne l’altezza per strada che arrivò, in alcuni punti, anche a tre metri.Si rese indispensabile trovare dei luoghi dove raccogliere i lapilli e, nei giorni successivi, furono ricolmati i pozzi, gli ingressi delle antiche tufare, alcuni campi e le vasche di raccolte delle acque e dei fanghi che periodicamente discendevano dai monti (le antiche opere di bonifica del 1806). Alle ore 14 del 23 Marzo iniziò la fase Sismo-esplosiva con tremori dovuti ai gas che spostavano le rocce crollate e che ostruivano il condotto. Il giorno 24 una grande nube di cenere chiara imbiancò il cono come dopo una nevicata.Il 26 Marzo iniziò la Fase finale, le esplosioni diventarono più rade ed il 29 marzo l’eruzione può dirsi conclusa. Fino alla fine dell’anno si ebbero emissioni di anidride carbonica (mofete) da vari pozzi e dal terreno; queste causarono la morte di, almeno, altre due persone. Dal cratere erano fuoriusciti circa 70 milioni di metri cubi di lave. Erano morte decine di  persone a causa dello sprofondamento di tetti e solai. Gli abitanti di S. Sebastiano, Massa e Cercola furono evacuati. I danni furono incalcolabili, ma presto tutto ciò è caduto nel dimenticatoio. Invece bisogna ricordare per studiare sempre più nuove ed efficaci forme di prevenzione, perché un giorno non si ripetano gli stessi errori. Progetto tetti sicuri: Nelle aree dove è possibile una ricaduta di ceneri e lapilli, durante una eventuale, futura, eruzione vulcanica, bisogna ricercare metodologie costruttive di sicurezza per i tetti onde evitare sprofondamenti. Tali metodologie terranno conto  del risparmio energetico e salvaguardia dell’ambiente. L’eruzione del Vesuvio del marzo 1944, causò un accumulo di lapilli che, in alcune zone, raggiunse anche gli 80 cm.  Furono quelli momenti drammatici con circa 45 morti per crollo di solai e terrazze.  A causa del lapillo spalato giù dai tetti e dalle terrazze delle case, in alcune strade si camminava arrivando con la testa quasi ad altezza dei primi piani delle case. Sarà utile, allora, ricercare delle zone ove, eventualmente, sarebbe possibile depositare, anche temporaneamente, i lapilli. Sia nell’eruzione del 1944 che in quella del 1906 la maggior parte delle persone, nelle zone di ricaduta ceneri e lapilli, perirono per sprofondamento dei solai. Il tipo di costruzione di allora prevedeva solai scoperti (in quella società contadina era diffusa l’usanza di usare i lastricati e le terrazze per essiccare frutta e ortaggi). Ora che questa abitudine non c’è più, forse è giunto il momento di pensare ad una difesa, sia pure passiva, contro questa simile eventualità prevedendo un tipo di costruzione con tetti spioventi, almeno in queste zone. Già si hanno indicazioni di massima che prevedono una pendenza minima di circa 38 gradi, ma ulteriori studi daranno indicazioni sulla pendenza consigliata anche in funzione dei materiali utilizzati per realizzare i tetti. Una costruzione inadeguata, infatti, anche con copertura avente pendenza del tetto di circa 45° può essere seriamente danneggiata da ricaduta di materiale piroclastico. La nuova copertura a tetto permetterà anche di poter realizzare pannelli fotovoltaici e recuperare energia solare, oltre che diminuire la dispersione di calore.

 

 

 

2 pensieri su “A 66 anni dall’ultima eruzione vesuviana

  1. Un giorno, nella seconda decade del mese di marzo del’44, mentre mi preparavo per andare a scuola (quarta elementare), i miei genitori mi dissero di non andarci perchè sintravedeva in lontananza una nuvola nera come il carbone. Nessuno seppe dire cos’era quella nuvola che avanzava verso di noi, che man mano si faceva più tetra e faceva paura. Erano verso le nove del mattino quando la nuvola ci passò sul capo; il cielo si oscurò fino a diventare profondamente nero. Non si vedeva più nulla. La gente piangeva e pregava Iddio, pensando che fosse arrivata la fine del mondo; ci si abbracciava e ci si salutava credendo che fosse giunta la fine della nostra esistenza. Ad un tratto iniziò a piovere lapillo, e ne piovve tanto che molti tetti non ressero al pero di quel materiale; allora s’incominciò a capire che quella roba era stata vomitata dal Vesuvio. Era successo che il vulcano, dopo la densa attività eruttiva che tracimava la lava in ogni direzione, si sfogò lanciando in alto tutto il peso che aveva nelle viscere, e che venne scaricato fin oltre Salerno ei qualche altra provincia della regione.
    Il lapillo caduto da noi si trasformò in una vera “manna caduta dal cielo”. Le imprese edili capirono subito che quel lapillo poteva essere per loro una vera fonte di guadagno se lo si poteva ammassare da qualche parte. Mandarono, quindi carretti e camion per raccogliere quell”oro nero”, e, grazie a quel materiale avuto gratuitamente, si videro nascere centinaia di nuovi edifici.

  2. Che bella testimonianza Alfredo. Stavo cercando materiale sull’argomento e il tuo commento è stato prezioso. Mia madre che ora ha 90 anni ricorda la stessa cosa ma lei abitava a Caggiano (SA). Mi racconta che gli ortaggi non furono più commestibili. Io invece mentre facevo scavare una parte del mio giardino per lavori di manutenzione ho scoperto una coltre di lapilli di circa 10 cm a ben 1 mt di profondità e vivo a Pellezzano. Incredibile quanto sia stato vasto il territorio interessato!

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