Cambiare per non morire noi e il Sud

Giuseppe Lembo

 

Nel Mezzogiorno d’Italia, ci sono ancora nostalgie per un passato storico che non c’è più; molti sono convinti  che l’invasione piemontese rappresentò una vera e propria tragedia per il Sud, dove regnavano quei borboni che, succhiando il sangue soprattutto della povera gente, si godevano i piaceri della vita, alla faccia dei meridionali costretti a lavorare ed a subire le loro imposizioni spesso violente e retrogradi. Fa sorridere chi ancora condanna l’invasione piemontese, un evento storico, visto come la grande calamità del Sud,strizzando l’occhio a quelle condizioni preunitarie con alla base il conservatorismo del protagonismo borbonico arroccato in se stesso. Ci vuole coraggio a pensare tanto in tale direzione, ritrovandosi ad esaltare i borboni ed a parlare contro i piemontesi, come i mali del Sud. L’Unità d’Italia è stato un evento importante per l’intero paese; è stato e così va visto, soprattutto salutare per il Sud, a cui veniva data la prima grande opportunità di riscatto antropico e di rinascita sociale. Se il percorso non è stato sempre lineare in tale direzione, la responsabilità non è dei piemontesi, portatori di cambiamento e di un nuovo modello di vita d’insieme, ma di quei tanti meridionali abbarbicati al passato per far sopravvivere i loro privilegi, la loro posizione di superiorità e di potere rispetto alle condizioni diffuse di povertà e di ignoranza di un popolo silenzioso e sottomesso agli agrari latifondisti, alla Chiesa, ai nobili che imparruccati vedevano il loro futuro solo nel passato ed in un quotidiano presente, fatto di parassitismi e di vita di ozio, a tutto danno di chi doveva lavorare per i “padroni”, non riuscendo neppure a sopravvivere con le loro famiglie. Erano i loro signori che rifiutavano le terre da coltivare, sempre promesse ma mai cedute al bracciante straccione. Anche la Chiesa con le sue terre ed i suoi privilegi terreni abbondantemente diffusi al Sud era al fianco degli affamatori, condividendone per i propri egoismi, le sorti che portarono ad una Unità d’Italia fortemente contrastata e conflittuale con un cammino, di fatto, separatista nei comportamenti della gente abituata a vivere nel silenzio. La prima grande rivoluzione silenziosa al Sud è nelle azioni di gran rifiuto del bene braccia; dopo il 1860, ad unità avvenuta, i poveri cristi incrociarono le bracci per non essere più sudditi di padroni sanguisughe. Furono questi segnali forti di un cambiamento necessario e fortemente voluto. Abbandonando le terre, si andava realizzando “l’emigrazione”, il grande sogno di milioni di italiani di una migliore vita altrove; al Sud entrò in crisi il vecchio sistema di parassitismo e sfruttamento agrario. In cento anni di emigrazione dal Sud, ma non solo dal Sud, circa 30 milioni di italiani, hanno abbandonato l’Italia, andando a costruire un’altra importante Italia fuori dai confini della patria lasciata per le condizioni di miseria diffusa in cui erano costretti a vivere i “poveri cristi” meridionali e non. Con le pietre parlanti dei luoghi d’origine, gli emigranti si portavano anche la benedizione della Chiesa locale, indifferente ai drammi umani dell’emigrazione subiti per effetto dello sradicamento, per le incomprensioni, per le violenze, per il disagio sia nelle terre di partenza, dove sottratte le migliori risorse per il lavoro dei campi, iniziò il degrado e l’abbandono e dove tante “vedove bianche” attesero per decenni inutilmente il ritorno dei loro mariti, sia nelle terre di arrivo, dove fu lungo e difficile il processo di integrazione e dove il “sogno americano” di libertà dal bisogno e di benessere, costò a tanti, lacrime e sangue. Bisogna rileggere con attenzione ed intelligenza la storia del Sud; l’Unità d’Italia, protagonisti in prima linea i piemontesi, è stato un evento importante e sicuramente positivo. Basta con il piangersi addosso e pensare che siano gli altri, i responsabili dei mali meridionali. Purtroppo al Sud è mancato il protagonismo sociale, per effetto di un familismo diffuso che non ha permesso di pensare al bene comune e di costruire insieme un domani nuovo utile al popolo e non agli sfruttatori che hanno sempre e comunque prevalso facendo propri quegli insegnamenti borbonici di corruzione, di malasocietà, di vessazione e di abbandono della gente al proprio destino. La lezione del passato serve a pensare un diverso presente e soprattutto a costruire un diverso futuro. Ma, considerata la velocità con cui oggi tutto passa, tutto si trasforma, tutto va nella direzione di un mondo senza confini, con un’unica grande società, è importante saper essere attenti al passato senza chiudersi in esso, ma guardando avanti e dando il proprio attivo contributo per il mondo locale e globale che cambia in fretta e cambia soprattutto nei comportamenti umani, purtroppo sempre più spesso poco virtuosi, in quanto dominati dal virus del dominio e da un apparire egoistico che va contro la morale ed il bene comune. Bisogna ed in fretta pensare positivo; è una necessità per tutti. Bisogna lottare insieme per sconfiggere quei mali del Sud che appartengono alle radici di un passato pre-unitario che si fondava sul privilegio dei pochi e che non permetteva a nessuno di alzare la testa, di ribellarsi per amore della libertà e dei diritti umani. Guardando a fondo le pagine della nostra storia, c’è da riconoscere che il Sud è uscito dalla disperazione sociale e dalle sue condizioni di degrado in epoca post-unitaria; diminuisce l’alfabetismo, migliorano le condizioni sociali, le condizioni igieniche ed alimentari; tanto, anche grazie alle rimesse degli emigranti. C’è, ovunque, protagonismo ed aria nuova da riscatto umano e sociale. Il familismo meridionale, ancora oggi fortemente radicato nelle coscienze della gente, trova la sua ragione d’essere in quel passato pre-unitario che al Sud non è riuscito mai ad aprirsi ad uno stare insieme solidale e ad un associazionismo cooperativistico che positivamente si radicò in altre parti d’Italia. L’Unità d’Italia, ancora oggi messa in discussione dal puro fanatismo di qualche nostalgico del mondo dei borboni, di fatto è stata un grande evento anche per un reale cambiamento del Sud e per un destino nuovo della gente meridionale da sempre sfruttata da un padronato allineato ai borboni, senza scrupoli, assetato di averi, che barattava lunghe e sudate giornate di lavoro per un piatto di lenticchie, una manata di fichi, un pugno di farina, poche gocce d’olio e se andava bene, un qualche soldo che non garantiva neppure il minimo per la sopravvivenza. Il Sud, mettendo da parte, le nostalgie di un passato storico che non verrà e che non è per niente opportuno che torni, per uscire dall’attuale condizione di disagio economico-sociale deve, prima di tutto, sentirsi culturalmente integrato al paese Italia; è parte importante e vitale dell’unità nazionale; deve saper acquisire i valori fondanti della cultura europea e mondiale. Anche al Sud ci sono in vista cambiamenti epocali; anche il Sud, non certamente ovunque imbalsamato e/o crocefisso, può sperare in scenari nuovi, il frutto di uno svecchiamento possibile, con sulla scena nuovi volti, utili ad innovare, prima di tutto la politica, per così poi innovare la società purtroppo oggi comatosa e priva della vitalità del fare, necessaria al cambiamento ed allo sviluppo. Il PIL pro capite campano rappresenta il 60% di quello del Nord; si tratta di un dato fermo da ormai 50 anni. Bisogna estirpare ed in fretta, il malessere sociale, il cancro del potere malavitoso e soprattutto i comportamenti di illegalità diffusa nella gente comune, sempre meno attenta alla legalità ed ai comportamenti singoli ed associati poco virtuosi, poco legittimi e dal sapore proprio di un diffuso antistato padrone anche dell’aria che si respira.

 

                                                                                                

6 pensieri su “Cambiare per non morire noi e il Sud

  1. E chi dovrebbe estirpare il malessere sociale, il cancro del potere malavitoso e i comportamenti di illegalità diffusa nella gente comune (visione lombrosiana totalmente smentita dalla scienza contemporanea)? E perchè al sud esistono e persistono questi scenari? Dov’è lo “Stato” Italiano? Cosa ha fatto e cosa fa per cercare di risolvere il grande divario strutturale con il Nord del Paese? Non sono d’accordo con l’autore dell’articolo, mi sembra tanto un discorso da cattedratico lontano dalla realtà effettiva delle cose. Del resto se Guido Dorso gia nel lontano 1925, teorizzava e auspicava la nascita di un partito meridionalista, invitando i politici del Sud ad uscire dai partiti e dai sindacati nazionali è il segno più evidente che questo “Stato” cosiddetto unitario non funziona e non funzionerà mai. L’Unità d’Italia fu fatta con le armi, (e per interessi del Piemonte e dell’Inghilterra che puntava ad avere il controllo nel Mediterraneo) ha messo insieme popoli ed etnie diverse ed ha creato e mantiene indirizzi a vantaggio del nord dove gravitano i grandi interessi socio economici. Da quel momento (1860) il sud è stato colonizzato e completamente asservito alle esigenze Nordiste dell’Italia post annessione. E’ questa la verità.

  2. Sarebbe anche bello ricordare che il primo treno nel mondo fu costruito a Napoli dai Borboni e , seppure in date molto lontane , Salerno ebbe la prima università nel mondo, anche se non fu opera dei Borboni. La Banca più ricca d’Italia non era forse quella delle Due Sicilie? L’ignoranza? Senza dubbio, Però a Napoli non sono mai mancati i grandi intellettuali, Lei me lo insegna.

  3. Complimenti per il vostro articolo.

    Vedo che c’è chi continua a studiare ancora sugli abecedari delle scuole elementari del regno. Per voi, anni di studi, convegni, dibattiti, trasmissioni televisive, aperture di archivi, pubblicazioni di saggi, editoriali e libri non sono serviti.
    Ringraziate ancora chi ci ha ridotto a colonia.

    Un paio di domande:
    – Chi devo ringraziare se i nostri figli, a 150 anni dall’unità, continuano ad emigrare (sarà forse colpa del conservatorismo borbonico)?
    – Chi devo ringraziare per i nostri soldi che vengono drenati da istituti bancari e aziende del nord?

    Non rispondetemi con la barzeletta della classe dirigente locale, i mali e le cause sono da ricercare altrove, precisamente più a nord.

    Se continuate a ragionare così, l’estensore dell’articolo merita di continuare a vivere come colono di un padrone (che non è il Borbone) che continua a sfruttarlo da 150 anni.

  4. E’ seriamente difficile commentare un articolo del genere, perchè sarebbe come commentare 150 anni di non verità, di luoghi, memorie e vite umane scomparse nel nulla. Gli ebrei ci insegnano a ricordare e io da meridionale ricordo, leggo e vado a scoprire carte e carteggi tenuti segreti negli archivi.
    Non sono fiera di essere italiana vedendo in quali mani ultimamente viaggia questa italianetta fatta da barzellettieri saliti al governo,impastati di mafia e camorra, loro non noi meridionali. Sono fiera di essere meridionale perchè non sono mafiosa, non sono camorrista e sono circondata da gente che è uguale a me ….
    Ma non è disconoscendo la storia, i luoghi, i personaggi e la gente e le storie vere del passato che porterà ad un riconoscimento di appartenenza allo stato, ma l’affermazione della nostra identità e la riscoperta del nostro passato. Solo questo potrà portare nel suo grembo le parole “appartenenza” e “coscienza civile”…il resto sono solo spugne imbevute d’aceto , come è il caso del sopracitato articolo……..

  5. Quando si leggono articoli del genere la prima reazione è di sconforto: sembra impossibile che, oggi, ancora ci sia qualcuno – specie al Sud – che veda nell’unificazione politica della penisola italica una grande opportunità per il Meridione.
    D’altro canto, quando – come in questo caso – non un dubbio sembra sfiorare l’illustre studioso resti un momento disorientato, ti chiedi da che parte iniziare a dipanare il coacervo di vecchie banalità che documentate ricerche hanno permesso di sbugiardare.
    Ma la rilettura dell’articolo mi ha fornito, per un banale refuso (almeno tale penso che sia), uno spunto preciso. Infatti, laddove si afferma che “…. in epoca post-unitaria il Sud…:diminuisce l’alfabetismo….”, ecco, quella diminuzione dell’alfabetismo che, ripeto, penso sia dovuto ad un refuso anzichè analfabetismo, mi ha ricordato certe tabelle che ebbi occasione di vedere su un’insospettabile pubblicazione (nel senso di non sospettabile di simpatie borboniche), il Grande Atlante Storico del mondo edito nel 1997 dal Touring Club Italiano.
    Suggerisco all’illustre studioso di dare un’occhiata alle pagine intitolate Risorgimento e Italia unita.
    In particolare, si soffermi su quella dell’alfabetizzazione, sulla metodologia di rilevazione, cioè “capacità di lettura al 10′ anno di età” e sui censimenti presi in considerazione, anni 1871 e 1911.
    Senza farci distrarre dalle diverse simbologie usate per i due anni esaminati, siamo capaci di fare una “botta di conti” ? Se, nel 1871 il rilevatore ha considerato la capacità di lettura dei ragazzini decenni, vuol dire, mi si corregga se sbaglio, che quel censimento ha fotografato il risultato dell’opera del Governo unitario e solo quello dal momento che stiamo parlando di persone nate nel 1861….che, presumibilmente, sono andati a scuola a partire dal 1866 quando, cioè, il regno sabaudo aveva un buon quinquennio di vita…
    Ma come ciliegina finale è interessante anche la tabella relativa all’industria in cui, come si può ben notare, ancora nel 1881 la percentuale degli addetti occupati nell’industria sulla popolazione totale, dato diviso per regione, non parla affatto di un Sud assente nel comparto, anzi…l’attuale Cenerentola Calabria….bè, a questo punto, un dato emerge chiaro e inconfutabile, Tafazzi non è un’invenzione delle sinistre…per uno Stato che continua a propinare la solita minestra di bugie, quei censimenti sono autentiche martellate sui cosiddetti….
    Spero di esser stato di aiuto (modesto, certo) all’illustre studioso che, non ne dubito, saprà interpretare da par suo e spiegarci queste curiose discrepanze rispetto al suo quadro.

  6. Resto stupito di una cosa:gran parte dei giornalisti che ricevono commenti rispondono a chi commenta, e da lettore dico che spesso sono più interessanti i commenti degli articoli, perchè in questo caso non si risponde? Buona sera.

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