Fiat, guadagnare e licenziare o licenziare e fallire?

Ivan Re

La Fiat, che ha come obiettivo la produzione con Chrysler di ben sei milioni di vetture l’anno annuncerà, secondo il quotidiano “La Repubblica” una riduzione dei modelli prodotti in Italia, da 12 a 8, tagli per 5.000 posti di lavoro e incremento del 50% della produzione italiana. Secondo “L’Unità”, nonostante l’arrivo di Panda lo stabilimento di Pomigliano potrebbe perdere quasi mille dei 5.160 dipendenti attuali. Inoltre sette modelli con marchio Fiat, Alfa e Lancia saranno realizzati negli Usa per il mercato d’Oltreoceano, per una produzione complessiva che dovrebbe superare le 350.000 unita. Negli Usa, come riportato ieri dal quotidiano “La Stampa”, verrà anche prodotta la 500 elettrica per la commercializzazione nel mondo intero, compresa l’Italia. A questa notizia la Borsa  ha incrementato il titolo Fiat di ben 3,14 punti. Sembra che in Italia vengano premiate  quelle aziende che delocalizzano creando disoccupazione che sarà difficile riallocare. Che fare? Per ora tutta la Regione, la provincia e l’autorità civica della città di Torino, tutta in mano alla sinistra, non ha mai reagito a questo dissanguamento di posti di lavoro che oltre ai dipendenti diretti della Fiat interessa un vasto indotto che sta chiudendo i suoi stabilimenti. Da parte del Governo crediamo sia giunto il momento per fare il punto sulla situazione che non riguarda solo Fiat ma quasi tutta l’industria manifatturiera italiana che delocalizzando cerca di rimanere competitiva sul mercato globale. Il costo del lavoro in Italia, malgrado gli stipendi bassissimi percepiti dalla manodopera, non è più competitivo neanche con quello di altri stati europei e questo aspetto va assolutamente studiato a fondo per permettere una riduzione del suo valore attraverso la riduzione delle tassazioni che gravano su di esso e che non sono più applicabili per tentare di salvare il salvabile: il basso livello occupazionale rimasto. Speriamo che dopo le elezioni alle regionali la Destra torinese risvegli il mondo del lavoro applicando quanto ha dichiarato l’onorevole Cota, candidato a governatore alla Regione Piemonte, che ha dichiarato che per ridurre ancora il personale la Fiat dovrà prima passare sul suo corpo. Noi speriamo vivamente che l’alternativa a questa sinistra che fino ad ora governando il Piemonte e la Provincia di Torino e la città stessa non ha mai mosso un dito per condizionare la Fiat, riesca ad obbligare questa nostra grande risorsa nazionale a rivedere i propri programmi  attraverso l’applicazione delle regole che sono alla base della riduzione del costo del lavoro che sta alla base della competitività che determina le varie posizioni sul mercato globale dell’auto. Ricordiamo che il 22 febbraio si sono fermate per due settimane, contemporaneamente, tutti gli stabilimenti italiani di Fiat Auto: 30.000 lavoratori sono andati in cassa integrazione fino al 5 marzo. Il Lingotto ha annunciato lo stop delle fabbriche il 26 gennaio, motivandolo con il forte calo degli ordini e la necessità di adeguare i livelli produttivi alla domanda. Secondo i dati dell’Unrae, (l’associazione dei costruttori esteri), la raccolta degli ordini nel mercato italiano ha subito, a gennaio e nella prima decade di febbraio, un calo di oltre il 50% rispetto al quarto trimestre del 2009, ultimo periodo nel quale erano in vigore gli incentivi all’auto, intanto in Polonia si continua a sfornare una nuova Panda ogni 16 minuti.