Danilo Dolci, protagonista del nostro tempo
Giuseppe Lembo
È bastato poco più di un decennio a cancellare dalla memoria, di un paese che vuole dimenticare tutto, la figura di Danilo Dolci, il “Gandhi italiano” che ha speso la vita a favore dei più deboli di Sicilia e del mondo, dando attraverso il suo pensiero ed il suo fare quotidiano, un esempio di protagonismo attivo, fatto proprio dai più deboli e dai dimenticati della Terra. Attraverso il suo metodo maieutico, ha dato voce anche ai senza voce ed agli ultimi, dai diritti da sempre negati. Ho avuto occasione di conoscere e di lavorare per decenni con Danilo Dolci. Ho fatto da tramite, in più occasioni culturali ed educativi, in Basilicata, ed in Campania, soprattutto dopo il terremoto del 1980. Ho visitato i luoghi a lui cari ed ho vissuto tante occasioni culturali importanti a Partinico, nel Borgo di Dio, di Trappeto assunto a simbolo di un mondo nuovo pensato da Danilo Dolci come possibile anche in Sicilia.È costruito, pietra su pietra da Danilo Dolci che, da Nomadelfia, dalla comunità di Don Zeno, nell’ex campo di concentramento di Fossoli, approdò in Sicilia, con la disperata speranza-certezza di cambiare il Sud e con il Sud, l’Italia ed il mondo, attraverso la nonviolenza ed il suo sogno di un mondo di pace. Il primo obiettivo di Danilo fu quello di impegnare la gente del posto in un naturale processo di crescita umana e culturale. I primi protagonisti del suo dialogo con gli altri, furono i pescatori privi di certezze e di speranze per il loro futuro. Danilo Dolci si rimboccò le maniche e si impegnò, tenendo davanti agli occhi il modello di Nomadelfia, per la fondazione, pietra su pietra, di una sua comunità che doveva far crescere la gente, dando a ciascuno consapevolezza del proprio stato, della propria miseria e della propria sudditanza silenziosa alla mafia. Contro il silenzio dei più, nel profondo Sud, la presenza di Danilo, diventa, per i poteri forti costituiti e non, una vera e propria presenza scomoda ed indesiderata ad un punto tale da essere ostacolata e combattuta. Tale fu visto il suo sciopero alla rovescia, per la costruzione della Trazzera, che tanta eco e tanta solidarietà suscitò, non solo nel mondo siciliano di chi voleva cambiare, ribellandosi al sistema consolidato dell’oppressione, ma in gran parte dell’Italia, dove l’azione nonviolenta ed il fare per gli altri di Danilo Dolci, da subito, furono considerati come un importante messaggio di pace e di attese di un cambiamento possibile, anche in luoghi dove la gente viveva con la morte di dentro e da sottomessa e rassegnata pensava che non vi poteva essere per loro un mondo nuovo ed un modo diverso da vivere la propria esistenza terrena, trattandosi di una umanità secondaria, dal futuro assolutamente negato. Danilo Dolci, il triestino che diventa in Sicilia il grande protagonista di una umanità nuova, con una ostinata volontà del fare, non si arrende a niente e tra mille difficoltà, va avanti per la sua strada, sfidando i potenti del luogo ( compreso i politici) che, sentendosi minacciati nei loro privilegi mafiosi, cercano di ostacolarlo in tutte le azioni, ispirate alla solidarietà ed al cambiamento, attraverso ricatti, minacce e continue sfide a viso aperto. La storia dell’educatore, del sociologo, del rinnovatore, del poeta, poliedricamente rappresentata da Danilo Dolci, parte dalla Sicilia, per diventare storia di educazione, di rinnovamento e di società in cammino che infiammerà di sé tante realtà del paese e del mondo ad un punto tale da riconoscergli meritatamente tanti premi importanti, tra cui il Premio Lenin e la candidatura al Premio Nobel per la Pace. Ma tutto torna in Sicilia, a Trappeto nel Borgo di Dio che per decenni, vive intensamente importanti occasioni da vera e propria capitale di universalità della cultura, dei saperi e dell’impegno umano verso gli ultimi, ospitando noti personaggi, amici, alleati e compagni di viaggio di Danilo Dolci nella difficile terra di Sicilia e lungo le vie del mondo, in un pensare insieme ed un conversare infinito. Danilo Dolci trascorre la sua esistenza terrena in giro per il mondo e quando si ferma al Borgo di Dio, il suo pensiero va sempre al mondo, partendo dal fare, dal pensare, dal poetare universale, con al centro la presenza ed il protagonismo della sua gente. Il Borgo di Dio, Mirto, il Centro Studi di Partinico, rappresentano per Danilo Dolci l’ombelico del mondo; la visione, dei luoghi di Sicilia, è in lui fortemente globale, universale, in quanto ricca di umanità universale. Ma oggi, quel mondo territoriale, a cui Danilo Dolci, dedicò tutto l’impegno del suo fare, del suo fare per gli altri e del suo pensare universale, purtroppo ancora fortemente ammalato di localismo mafioso, tende a cancellarne la memoria. Tende a dimenticare ed a mandare in rovina anche le tante testimonianze del Borgo di Dio a cui Dolci aveva lavorato, costruendo, pietra su pietra, un vero e proprio tempio del pensiero e del sapere universale; con Danilo in vita era frequentato da tantissimi uomini di cultura e di pensiero (educatori, sociologi, pensatori, economisti, poeti) dell’Italia e del mondo. In solo dieci anni, oltre a cancellare dalla memoria collettiva la figura di Danilo Dolci, si è pensato di eliminarne anche le testimonianze legate ad una materialità scomoda ed ingombrante. Il Borgo di dio, il borgo che ben si farebbe a chiamare “Borgo di Dio” di Danilo Dolci, ha avuto, per effetto dell’insipienza umana del Sud, un triste epilogo. Mentre Nomadelfia, continua a vivere proponendosi al mondo come comunità della nonviolenza e della pace, in Sicilia, si è pensato di liberarsi del pensiero, ingombrante di Danilo Dolci, spegnendone il palpitare di nessi e cancellando quel sacrario della memoria e del pensiero che è stato il “Borgo di Dio”. Con tanta tristezza nel cuore per atti di dimenticanza indegni di una società civile e proiettata verso il futuro e per un cannibalismo oltraggioso verso la memoria di Danilo Dolci, un uomo con una visione del mondo dal grande spessore umano, culturale ed intellettuale, che con grande coraggio sfidò la mafia e la burocrazia assassina del nostro Paese, preso da sdegno per l’infame olocausto di tanta e tale memoria tradita, ho contattato Amico Dolci, figlio di Danilo. Mi ha detto di condividere il percorso giornalistico di Rizzo e Stella, a proposito della condizione di degrado e di abbandono del Borgo di Dio, ridotto a luogo fantasma, ma che Danilo Dolci anche in Sicilia è ancora fortemente presente e vivo, attraverso la Scuola di Mirto, il Centro Studi ed iniziative di Partinico (presidente Amico Dolci) ed attraverso l’azione e le iniziative di tanti gruppi ed associazioni siciliane e non che si ricordano di Danilo Dolci e si riconoscono nel suo impegno gandhiano di guida spirituale della rivoluzione nonviolenta, una rivoluzione necessaria per combattere e sconfiggere l’ancora diffusa violenza presente negli egoismi del mondo, causa di tante tragedie umane in tantissime realtà dimenticate ed ancora oggi virus e seme di un pericolo immanente nell’uomo alla ricerca di una pace duratura per il mondo che verrà. Ho promesso ad Amico di riprendere in diverse e più convenienti situazioni ambientali, umane e culturali, il mio cammino dolciano per la pace e la nonviolenza, promuovendo nuove iniziative per contribuire ad alimentare il ricordo e la memoria collettiva di Danilo Dolci, un protagonista del nostro tempo che trascorse la sua vita nel tenace impegno di comprendere gli uomini attraverso una forte tensione rigeneratrice dello sperimentare insieme. L’eredità di pensiero che Danilo ci ha lasciato serve a noi nel presente, ma servirà ancora più nel futuro a quelli che verranno.