La vera Riforma scolastica
Aurelio Di Matteo
Il Presidente della Repubblica ha firmato il Decreto di emanazione dei Regolamenti della Riforma scolastica, che prenderà il via dal prossimo 1° settembre. Il Ministro Gelmini ha cominciato a emanare gli indirizzi delle varie tipologie. La Riforma sembra cosa fatta. In verità deve ancora cominciare. Anche nel passato ci sono stati forti cambiamenti ai Piani orari e ai percorsi delle varie tipologie di Istituti, ma non sono serviti a migliorare la qualità della scuola italiana. Gli è che la vera Riforma scolastica non si realizza con gli aggiustamenti o le modifiche dell’orario e delle tipologie di percorsi. Un grande passo avanti è stato senz’altro fatto con la semplificazione degli indirizzi e la fine della stagione delle sperimentazioni che negli anni avevano comportato la nascita di 88 “progetti assistiti” e di 683 (sic!) corsi sperimentali. Un enorme fumo negli occhi per una scuola dequalificata! Di certo l’impianto strutturale varato dal Ministro Gelmini è una buona condizione perché la scuola riprenda la sua funzione e ridiventi produttiva assolvendo la sua mission di fondamentale agenzia d’istruzione e di formazione. Con quanto è stato messo in campo si può dire che è iniziato il primo passo verso la costruzione di una scuola di qualità se, da subito, seguiranno i conseguenti e necessari interventi. La vera Riforma, infatti, passa attraverso la negazione di alcuni totem che da alcuni decenni hanno distrutto istruzione e formazione: il pedagogismo senza pedagogia, il metodologismo senza metodologia, la scuola ridotta a Ufficio di collocamento.I primi due totem hanno comportato una scuola nella quale non si apprendono più i contenuti strutturali, fondanti le discipline, ma prevalgono le improvvisazioni della tuttologia ispirata all’attualità mediatica. Il terzo è stato quello più devastante perché ha consentito l’accesso a scuola di professionalità scarsamente adeguate, selezionate non sulla base di competenze ma di graduatorie di anzianità, le quali subito si sono trasformate in ceto impiegatizio e per di più demotivato. In tal modo la scuola anziché svolgere una “funzione” ha finito per essere un “centro di servizio”, snaturando completamente natura e compiti propri e separandosi totalmente dal mondo del lavoro e dalla società tout court. La vera Riforma, che non attiene né al quadro orario, né all’aggiornamento delle discipline, né a nuove indicazioni didattiche e pedagogiche, comincia da una sostanziale modificazione della “presenza” del docente nella scuola, che potrà ottenersi solo con interventi legislativi, strutturalmente significativi per eliminare luoghi comuni e consolidate caste burocratiche e sindacali, i quali diano la possibilità di verificare e chiedere conto agli operatori scolastici, a qualsiasi livello, del loro operato e delle loro competenze. Si pensi che attualmente, dopo dieci anni che i Presidi hanno acquisito la qualifica di Dirigenti, nessun organismo è venuto a dire se quel Dirigente e quell’Istituto abbiano prodotto risultati adeguati alla funzione loro assegnata. Eppure per normativa generale la qualifica di Dirigente comporta d’obbligo la conseguente valutazione al termine di ogni anno! Per i docenti ci tentò il Ministro Berlinguer, ma fu letteralmente cacciato dalla generale ribellione, CGIL in testa, degli “insegnanti-impiegati” diventati un’ennesima casta di intoccabili! Analogamente per i Dirigenti dopo alcuni anni fu tentata una valutazione, ma in seguito ai disastrosi esiti riscontrati, che in un Paese normale avrebbero comportato il licenziamento almeno dell’80% dei Capi d’Istituto, fu accantonata ogni forma di monitoraggio. E si trattava pur sempre di una valutazione basata su quanto “trasmesso” dagli stessi Dirigenti! Per dare inizio a una vera Riforma, si rivela urgente la costituzione di un Organismo terzo di Valutazione, sia dell’Istituto nel suo complesso sia delle singole risorse umane impegnate a tutti i livelli. Contestualmente la riqualificazione della presenza del docente e del personale tutto all’interno della scuola si ottiene non con un’ennesima indicazione didattica o con gli inutili e costosi corsi di aggiornamento, ma attraverso un nuovo sistema di reclutamento, una progressione della carriera con relativa differenziazione retributiva e una valutazione periodica che costringa il Docente e il Dirigente a cercare gli strumenti culturali e didattici per migliorare la propria azione. Ai tre totem da eliminare, di conseguenza, bisogna aggiungerne un quarto: il valore legale del titolo di studio. È necessario abituare i giovani, ma soprattutto i genitori, a un costume che è prassi in tutti i Paesi. Si va a scuola per acquisire competenze e diventare persona, non per conseguire un titolo giuridicamente valutabile a prescindere! Il valore del titolo deve derivare dall’Istituto che lo rilascia e dalla verifica sul campo delle competenze possedute. È ampiamente dimostrato, con evidenza quotidiana, che il valore legale del titolo di studio non garantisce la qualità né la differenziazione dei percorsi formativi. I Corsi dello stesso tipo e livello non assicurano medesima qualità delle conoscenze e delle competenze di fatto acquisite dai giovani che li hanno conclusi. È anche questo uno dei motivi per i quali è cosa impossibile eliminare Istituti secondari e Università, sia privati sia statali, che sono diventati veri e propri diplomifici. È constatazione amara quella contenuta nel Piano di azione per l’occupabilità dei giovani Italia 2020, a firma congiunta del Ministero del Lavoro e del MIUR. Rispetto ai coetanei di altri Paesi i nostri giovani incontrano il lavoro in età troppo avanzata e, per di più, con conoscenze poco spendibili. Gli è che manca alle Istituzioni scolastiche la capacità di una continua riprogettazione e di adattamento dell’offerta formativa anche per l’assenza di un vero contatto con il mondo del lavoro. Per questo è urgente sostituire al valore legale del titolo di studio la logica della certificazione delle competenze connessa all’accreditamento dei Corsi, valutati sulla base della loro capacità di offrire una preparazione di alto livello in funzione dei bisogni del cittadino, dell’economia, della società e del mondo del lavoro: non un formale valore giuridico al titolo, ma il riconoscimento di un’effettiva e sostanziale qualità ottenuta da Istituti pienamente autonomi nella predisposizione dei piani didattici e dell’organizzazione, con conseguente valutazione dei risultati. In Inghilterra gli Istituti che non garantiscono la qualità e la produttività sono sanzionati con la chiusura e il licenziamento delle risorse umane responsabili! Sarà possibile, in un futuro non lontano, anche da noi? Se c’è un minimo di volontà politica, allora, dopo i Regolamenti, si metta mano alla vera Riforma, accelerando l’iter della normativa che giace presso la Commissione Istruzione della Camera dei Deputati.