Cave, abusivismo, aeroporto = business

Aldo Bianchini

Ad un mio precedente approfondimento sul ruolo che le “cave” (si proprio quelle per l’estrazione del pietrisco) potevano avere anche per la sopravvivenza dell’aeroporto “Salerno Costa d’Amalfi”, che dall’ 8 maggio chiuderà il traffico aereo, Giuseppe Tarallo (già presidente del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano) ha testualmente commentato che: “La questione è di grande rilievo        e richiede una grande riflessione”. In pratica Peppe Tarallo sostiene che “dalle cave insieme all’estrazione del materiale dovevano uscire dal 2005 ad oggi ben 4 milioni di euro da destinare all’aeroporto di Pontecagnano che così rimane al palo. Di questo nessuno se ne cura, né evidentemente i funzionari e dirigenti dell’ex Genio Civile e il rispettivo assessorato regionale che hanno mancato di vigilare ed incassare le somme dovute con danno all’erario e all’aeroporto e beneficio ai “cavatori” quasi sempre in alcune aree appartenenti alla camorra”.La denuncia di Tarallo è durissima e senza appello. In effetti la mancanza di controllo significa anche non controllare quello che esce dalle cave e di conseguenza non avere il polso delle attività edilizie e costruttive che ne conseguono, spesso esse stesse illegali e fuori controllo. Nel mondo delle cave c’è una situazione di anarchia totale, di disordine, di caos e senza controllo alcuno; anzi con qualche artato divieto di quelle poche azioni ispettive che prima venivano effettuate. Insomma le cave, come l’ex Genio Civile, sono diventate terra di nessuno dove incontrastata regna il potere malavitoso.Un’assenza delle istituzioni che appare strumentale, se non addirittura voluta. Ai lacunosi controlli delle forze dell’ordine si accompagna il comportamento illegale degli imprenditori. Eppure il P.R.A.E. (Piano Regionale delle Attività Estrattive) nella sua concezione non è male, infatti contiene strumenti e indicazioni notevoli che potrebbero garantire un vero governo di tali attività, indirizzandole verso una gestione oculata del territorio ed una generale rinaturalizzazione del siti di cava già indicata come obiettivo della L.R. 54/74 è stata ripresa con vigore dal PRAE, eppure essa è totalmente disattesa e dimenticata. I siti di cava a mezza costa (quegli orrendi scempi visibili ai piedi delle montagne che si possono osservare dalle nostre autostrade), ancorché autorizzati ad uno strumentale e frainteso recupero ambientale, sono la cosa più lontana che si possa immaginare rispetto alla rinaturalizzazione di un sito degradato da pregresse attività estrattive. Potrà sembrare assurdo ma quando prevarrà il buon senso, se mai prevarrà, sarà necessaria una nuova legge e un altro piano per rinaturalizzare ciò che oggi è stato “recuperato ambientalmente”. Infatti i recuperi ambientali, in attuazione o programmati, prevedono la realizzazione di gradonature enormi con tagli della roccia ingegneristicamente squadrati, con cadaverica rigidezza e uniformità a simulare sinistri loculi di una natura sfigurata. Per fiori alla natura defunta, sifilitiche alberature sofferenti, che mai potranno svilupparsi adeguatamene e mascherare (ammesso che il mascheramento possa ritenersi sufficiente) siffatta barbarie umana. Orrori approvati da dirigenti e funzionari di tutti gli enti coinvolti che, ovviamente, hanno dimostrato di curare più il proprio potere che la sensibilità ambientalista.  Gli esempi sono innumerevoli e sotto gli occhi di tutti, basta guardarsi intorno. Una terra dove “sorridere volle il creato“, per colpa di scellerati, arroganti e presuntuosi burocrati, funzionari, responsabili e dirigenti, è costantemente violata e insozzata. Eppure i rimedi veri, quelli che guariscono, anzi migliorano e offrono grandi opportunità, sono ben noti.   Necessitano solo di persone aperte e sensibili, convinti della giustezza delle nuove metodologie per guarire il “male cave”. I megagradoni e gli attuali recuperi ambientali sono un falso ideologico, un danno evidente al bene comune rappresentato dall’ambiente e dalla naturalità. Ciò che veramente manca alla classe dirigente campana è il coraggio di osare in nome del bene comune. Manca il coraggio di pensare e di controllare per salvaguardare anche l’indotto economico e non solo turistico dell’aerporto che dall’8 maggio rischia addirittura una ingloriosa chiusura. Ma       dove sono finiti quei 4 milioni di euro che, oggi, avrebbero salvato capre e cavoli  e che fine hanno fatto le persone capaci di impegno sociale, i “guerrieri’” della pubblica amministrazione, quelli con gli ideali ed il sacro rispetto della cosa pubblica? Lo illustreremo nella prossima puntata.