Il male non è nello scandalo ma nella sua divulgazione

Fulvio Sguerso

 Da che mondo è mondo  – o meglio, da quando Adamo ed Eva si accorsero di essere nudi e si vergognarono delle loro “vergogne” – lo scandalo (dal greco ‘skàndalon’:  ‘pietra d’inciampo’, ‘impedimento’) non smette di scandalizzare le coscienze; se non tutte, almeno quelle che non si sono ancora perse nei meandri e nei cavilli del sottopotere clientelare e tartufesco. Si può ben capire quindi come e perché una classe politica scandalosamente corrotta, salvo qualche pecora nera capitata lì per sbaglio o per fede sincera,  cerchi in tutti  i modi di addomesticare e di manipolare l’opinione pubblica controllando i mezzi d’informazione, in primo luogo la TV, e, a seguire, i giornali. Però qui sorge un problema di forma e di sostanza: una  democrazia può definirsi e funzionare come tale se l’opinione pubblica è tenuta all’oscuro dei reati commessi dai governanti? E’ accettabile una giurisdizione che assicuri l’impunità ai membri della classe dirigente, tanto più quando questa non sembra proprio in grado di espellere le tante, le troppe mele marce che allignano nel suo seno? La cosiddetta “questione morale” è un mero argomento retorico-propagandistico, o la vera questione di fondo sulla quale si gioca la credibilità e la tenuta delle istituzioni repubblicane? Certo che non assistiamo all’ideale svolgimento della vita politica e della convivenza civile quando la magistratura assume compiti e iniziative che confliggono oggettivamente con il potere esecutivo; ma di fronte alla endemica collusione tra sistema affaristico-mafioso e politici di riferimento ai più alti livelli,  la magistratura che cosa dovrebbe fare? Occuparsi d’altro? Non sia mai! Recitano all’unisono gli esponenti della maggioranza (in questo spalleggiati, se non apertamente, di certo nelle segrete stanze, da non pochi esponenti della cosiddetta opposizione): i reati vanno perseguiti, ci mancherebbe altro! Quello che si vuol colpire con la legge in discussione al Senato sulle intercettazioni è lo “sputtanamento” (dixit il neodevoto Giuliano Ferrara) di amici, parenti e conoscenti innocentissimi che per puro caso sono stati intercettati, e poi finiti sulle pagine dei giornali, a loro ludibrio e a sollazzo degli assatanati lettori! Il fine dunque sembrerebbe garantista: si vuol salvaguardare la privacy di tanti onesti cittadini – e anche di quelli disonesti, ma da ritenersi innocenti fino al terzo grado di giudizio – in ossequio al sacrosanto diritto alla riservatezza, sancito dall’Art. 15 Cost. Perché dunque tanto clamore? Che cosa vogliono questi irresponsabili direttori responsabili (tra i quali l’amico del giaguaro Vittorio Feltri) delle maggiori testate italiane? Non vorranno per caso, oltre a far cassa con i gossip, far cadere il governo sotto i colpi degli scandali divulgati dalle loro inchieste tendenziose? Ma la questione non è soltanto politica; qui sono effettivamente in gioco due diritti costituzionali: quello della libertà e della segretezza della corrispondenza, e quello dell’informazione (“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Art. 21 Cost.). Per un garantista liberale puro, il principio della libertà personale e della inviolabilità della privacy è sacro, ma altrettanto sacro dovrebbe essergli  quello della libertà d’espressione e dell’indipendenza della stampa nei confronti del potere, così determinante per la formazione di uno spirito pubblico critico e maturo. Le due libertà sono complementari, e caratterizzano entrambe uno Stato di Diritto e l’esercizio delle libertà fondamentali. Inoltre, un cittadino onesto, che cosa ha da temere? D’altra parte è anche vero che, in certi casi, c’è stato un uso abnorme e ingiustificato delle intercettazioni e della loro divulgazione a mezzo stampa. Ma in altri casi, invece,  sono risultate decisive (vedi l’inchiesta sul G8 in Sardegna). Come uscirne? “Quello che mi sento di dire – scrive Roberto Saviano sulla Repubblica del 22/05 – è che governo, magistratura e stampa, in questa vicenda dovrebbero trovare un terreno comune di discussione, perché di questo si tratta, di riappropriarsi di un codice deontologico che renda inutile il varo di leggi che limitino la libertà di stampa, di espressione e di ricerca delle informazioni. Non è limitando la libertà di stampa e minacciando l’arresto ai giornalisti che si arriva a creare una regola condivisa.” Dunque la parola chiave è deontologia; parola e concetto il cui senso, per molti operatori dell’informazione e per molti liberi professionisti (dei politici collusi  tutto è già stato detto. O no?), è come l’araba Fenice. Ma finché non si comprenderà che la ricorrente questione morale nel nostro Paese non riguarda solo la giustizia, ma è al tempo stesso questione politica, civile ed economica, avremo sempre, temo, la classe dirigente che ci (de)meritiamo.

8 pensieri su “Il male non è nello scandalo ma nella sua divulgazione

  1. Caro Sguerso,
    lasciamo la moralità alla nostra sfera privata, e che siano i genitori, semprechè ne siano capaci, ad insegnarla ai propri figli.
    La moralità dei giornalisti, dei politici e dei magistrati non può che coincidere con il rispetto della legge. La quale deve tutelare, più di ogni altra cosa, i diritti individuali.
    Pubblicare una conversazione telefonica prima che siano accertati dei reati è un abuso inaccettabile. Altra cosa è dare la notizia che è in corso un’indagine giudiziaria su Tizio o Caio.

    Cordialità- Angelo Cennamo

  2. Vede, avvocato,io e lei abbiamo un diverso concetto di moralità. Per me l’agire morale non può rimaner confinato nella sfera privata. Non ho (almeno spero e non voglio avere)una morale da gabinetto. Non mi sentirei a posto con la mia coscienza. Che cosa me ne potrei fare di una morale soltanto privata, privata giustappunto della sua dimensione pubblica, o, come diceva Immanuel Kant, universale? Senza contare poi che la moralità privata di un uomo pubblico, di un “uomo di Stato”, cioè di una persona che dovrebbe essere un modello per tutti i suoi concittadini, dovrebbe anche risultare, come suol dirsi, a prova di bomba (e quindi, a maggior ragione, di intercettazione). Lei m’intende, vero? O forse parliamo due lingue diverse? Questo non toglie che gli abusi siano abusi e gli illeciti siano illeciti da chiunque vengano commessi. Per questo ci sono i codici e i tribunali. Ma di questo lei s’intende molto più di me. Quindi la saluto e…..alla prossima causa!
    Fulvio Sguerso

  3. Caro Sguerso,
    una morale “da gabinetto” la scongiuro anch’io, ma la nostalgia per lo Stato etico, che mi sembra traspaia dal suo commento, è poco compatibile con la coniugazione del liberalismo democratico. Saper distinguere il peccato dal reato è stata la più grande conquista della nostra civiltà giuridica e politica. Machiavelli, Beccaria, Croce, ci hanno insegnato che l’onestà di un politico è essenzialmente nella sua capacità di governare la cosa pubblica. Trasponendo il concetto ai giorni d’oggi e al tema trattato, non trovo interessante e costruittivo conoscere i particolari scabrosi delle performance erotiche di SB, a casa sua e fuori dagli orari di “lavoro” (argomento che certi giornalisti vorrebbero far passare per diritto di cronaca). Preferisco sapere se il nostro premier fa del suo meglio per amministrare il Paese.

    Con immutata stima – Angelo Cennamo

  4. Si vede che parliamo proprio due lingue diverse! Se lei è insensibile alla commistione tra interessi privati e cosa pubblica rappresentata da un premier che si vanta di non essere un politico di professione e la cui carriera di imprenditore prima, e di politico-antipolitico dopo, si è avvalsa di galantuomini come Previti e Dell’Utri, non so che farci. Quanto a Machiavelli, mi pare di averle già chiarito una volta che il suo Principe non era tenuto a conformarsi alla morale corrente, ma solo per il fine superiore del bene comune, non dei beni privati. E in ogni caso non citerei Machiavelli tra i maestri dell’ etica. Io poi non ho parlato di peccati (non ho mescolato il sacro al profano) ma di collusioni affaristico-mafiose tra una certa società (in)civile e politici corrotti, la maggior parte dei quali appartengone al Pdl. Mi vorrà negare che la piaga della corruzione-concussione è un sintomo anche di malapolitica oltre che di malaeconomia? Guardi che non sono un moralista, ma ritengo, come tanti onesti cittadini, che gli esempi di malaffare che ci vengono dalla classe dirigente siano devastanti proprio nell’ottica del buongoverno. Avrà letto l’articolo di M. Ingemito proprio ora in prima pagina su questo stesso giornale!Altro che Stato etico! Che posso aggiunger ancora? Ah sì: Beccaria e Croce inorriderebbero sentendo (e vedendo) parlare il suo Principe-Impresario. Anche per il suo stile. Ma qui dall’etica passiamo all’estetica, e, in fatto di gusti, a ciascuno il suo. Cordialmente.
    F. S.

  5. Caro Sguerso,
    lei è un fine intellettuale. Come tale, però, dovrebbe avere meno certezze e praticare di più il dubbio. Dall’ultimo commento siamo passati dallo Stato etico alla dichiarata antipatia per una parte politica e per un premier che viene accusato di reati che, in verità, non sono mai stati accertati. Il malaffare della politica è sotto gli occhi di tutti, ma si tratta di un fenomeno antico e trasversale, certamente non legato in esclusiva al Pdl, come lei sostiene. Lei cita Dell’Utri, io potrei citare l’intera giunta pugliese sotto processo per le astruse commistioni con una certa imprenditoria, menzionata più in riferimento alla D’Addario che ai reati effettivamente perseguiti nella città di Bari. Così come il rinvio a giudizio di Bassolino, giunto ad orologeria quando si è insediato Caldoro. Ed ancora le vicende della giunta di Loiero, in Calabria, fino ad arrivare alla cricca che è nata in altri tempi, non di certo con l’attuale governo. Come vede, caro Sguerso, la moralità pubblica è labile in tutte le direzioni. E’ sempre stato così, anche quando da un “pulpito improbabile” Berlinguer lanciò la fantomatica “questione”. Colpiamo la corruzione, dunque, ma affidiamoci allo Stato di diritto.

    Saluti – Angelo Cennamo

  6. La ringrazio per il “fine intellettuale”, ma non sarei né “fine” né “intellettuale” se non praticassi il dubbio che, come lei sa, è necessario o ogni ricerca e allo stesso esercizio della critica , sia in campo politico, sia storico, sia anche nell’etica (pubblica e privata). E’ vero: considero il berlusconismo un fenomeno negativo, che aggrava anziché migliorare il clima etico-politico del nostro Paese già gravemente compromesso dalla “casta” partitocratica dominante nell’ultimo periodo della prima Repubblica. Ora lei non può ignorare che uno dei massimi beneficiati proprio da quella casta che giustamente lei considera responsabile del dilagare del malaffare e della corruzione, è stato proprio il Cavaliere. Non mi vorrà sostenere che i suoi gravi reati, in quanto prescritti, non sono reati accertati? Lasci stare la D’Addario! Avrà letto la sentenza di condanna dell’avvocato Mills!E quando mai si è visto un premier con tanti capi d’accusa pendenti a suo carico, tanto da aver bisogno di un’intera (o quasi) maggioranza palamentare che gli confezioni leggi su misura per salvarlo dai processi? Lei ha presente l’avvocato-deputato Ghedini? Si è mai visto un difensore che sia contemporaneamente anche legislatore? Lei, che sa di Diritto, non ci trova niente da eccepire? Ma anche tra i politici di sinistra, lei dice, ci sono inquisiti, e corrotti e corruttori: il malaffare è trasversale. Non l’ho mai negato. Anche perché se non fosse trasversale non ci troveremmo ora in così basso loco. E quanto all’estetica (non alla cosmetica), come le ho detto, tutti i gusti sono gusti. E’ chiaro che i miei sono lontanissimi dai suoi. Se poi considera che per me il vero è anche bello, capirà la mia antipatia non per una parte politica, ma per la cosmesi che maschera la verità. E qui chiudo questa polemica: de gustibus disputandum non est. Cordialmente.
    F. S.

  7. E’ un invasione di campo?
    Il vostro confronto è stimolante e…..:

    “etica”, “estetica”, “cosmetica”,”moralismo”….quante parole per dire che ci vorrebbe una terza via, sia nella vita politica sia in quella privata.
    Un buon padre di famiglia, DEVE indicare e praticare la strada per raggiungere l’obbiettivo ai propri figli, non le “scorciatoie”.
    Ecco questo per me è la differenza fra l’etica e la cosmetica, la morale ed il moralismo.
    Giorgio Almirante nei suoi comizi, più volte parlò di stato etico, giustamente lui aveva come riferimento il Fascismo.
    Gianfranco fini e/o Silvio Berlusconi,(nonostante tirino in ballo Mussolini a sproposito ) parlano di stato efficiente e vediamo dove hanno portato il nostro Paese: donnacce, corruzione pubblica e privata e non solo economica, perdita del senso di Patria.
    Non sono un uomo moralmente integro, ma non mi offenderei se qualcuno mi riconoscesse questo “merito”.
    Il problema,dal mio punto di vista, è di saper distinguere la persone perbene e quella per male.
    Chi ci rappresenta non dovrebbe solo apparire “pulito” ma deve essere “pulito”.
    I Marrazzo, come la Daddario, i Dell’Utri, i Previti e i Bassolino, sono il frutto della società in cui viviamo.
    La liberal democrazia, voleva guardare “all’interesse” della gente, ci ha portato in pochi lustri a guardare si la gente, ma in particolar modo al loro “VENTRE” e al “basso Ventre”.
    Ecco, voi intellettuali certamente onesti intellettualmente, dovreste indicare, con forza ,alla politica la strada da percorrere.
    Quando si dice che non c’è più niente da fare, allora c’è tutto da fare.
    Chiedo scusa per l’invasione di campo.
    In bocca al lupo

  8. Caro Sguerso,
    ribadisco il “fine intellettuale”, perchè lo è. E’ legittimo avere in antipatia il Cavaliere, così come è stimolante confrontarsi con chi ha idee diverse dalle proprie, purchè non si distorcano alcune verità oggettive. Berlusconi può non piacere, ma sostenere che sia colpevole del reato di corruzione dell’avvocato Mills equivale a dire il falso. Mills potrebbe essere stato anche corrotto ( e qui ci sarebbe da disquisire, in quanto la cassazione lo ha prosciolto per intervenuta prescrizione, senza per questo entrare in merito alla possibile consumazione del reato), ma il tribunale che sta processando Berlusconi per il medesimo fatto non ha ( ancora) stabilito che a corrompere Mills sia stato il premier.
    Lei ha giustamente osservato che SB ha avuto molti processi. Ma non si è mai chiesto come mai questi procedimenti siano cominciati solo dopo la sua discesa in politica e non prima, nonostante i fatti contestati risalgano ad anni precedenti? Non si è mai chiesto se è normale in una democrazia liberale processare il capo del governo finchè il medesimo è in carica? Vogliamo parlare del processo SME, che dopo 13 anni si è concluso con l’assoluzione di SB per “non aver commesso il fatto”, ma grazie al quale, nel frattempo, la sinistra ha impostato e vinto alcune campagne elettorali ( due politiche)? Sono d’accordo con lei sul ruolo degli avvocati legilsatori : sarebbe opportuno che i miei colleghi parlamentari sospendessero la loro professione nel corso del mandato. Ma, come saprà, gli avvocati legislatori sono tanti ed occupano gli scranni di tutti i gruppi parlamentari.
    Sul degrado della società civile e della classe politica abbiamo idee diverse, ma forse in un’altra occasione ne riparleremo.

    Saluti – Angelo Cennamo

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