Storia dell’abito ecclesiastico: dal Concilio di Trento fino ad oggi

don Marcello Stanzione

Nel clima del Concilio di Trento, saranno i sinodi provinciali di Milano, sotto la presidenza di San Carlo Borromeo che fisseranno la moda ecclesiastica adottata universalmente in tutti i paesi cattolici. I sinodi milanesi decretano che il colore nero è di rigore per tutti i chierici inferiori. I vescovi possono portare il colore viola e non possono apparire in pubblico senza il rocchetto ma la seta e le pellicce di lusso sono vietate. Per tutti i chierici la tonaca deve scendere fino a terra, la sott’anella più corta è permessa solo in viaggio, ma i preti devono portare sempre la lunga talare nel luogo della loro residenza, anche in campagna, anche per zappare il loro orto. Queste norme milanesi sono riportate anche dai Concili francesi del XVII sec., e a Parigi mentre gli statuti di Enrico di Gondi ( 1608 ) non chiedono che un abito “ onesto e decente ” con la tonsura, quelli di Francesco di Harlay ( 1673 ) impongono la talare nel luogo di residenza. Uno dei punti fermi dei riformatori cattolici del XVII sec., è quello di far portare la lunga talare che, nel rilassamento generale causato dalle guerre di religione, tendeva ad essere abbandonata dai cattivi preti. Gli Statuti Sinodali del celebre Alain di Solminhac, vescovo di Cahors, cominciano con questo primo articolo ( 1652 ) : “ Porteranno sempre abiti decenti nella città, borgate e villaggi, durante i viaggi porteranno la sott’anella o piuttosto la sottana ripiegata sotto il mantello, la pena per contravvenente sarà di dieci lire di ammenda … Ordiniamo anche che ogni prete, chierico tonsurato e religioso, di qualsiasi ordine egli sia, che si presenteranno a noi senza essere in abito clericale o monacale, vale a dire i chierici senza avere la tonsura e la sottana , ed i religiosi senza avere l’abito della loro professione, saranno messi immediatamente nelle prigioni episcopali. “ In una famosa lettera a San Vincenzo de Paoli, questo stesso vescovo di Cahors si lamenta perché in una diocesi vicina, i preti, alla morte del loro vescovo riformatore, hanno ripreso le loro concubine ed hanno appeso  le loro sottane alle porte dei cabarets. Ormai non portare la talare abitualmente, è considerato come la nota di un cattivo prete. I Sulpiziani che si dedicano alla società riformatrice di pietà, non ammettono affatto l’abito corto. Gli Statuti sinodali del vescovo Bossuet del 1691 prescrivono obbligatoria la talare sempre e dovunque ai curati, vicari e beneficiari : “ Affinché i loro stessi abiti siano un continuo avvertimento del ritegno al quale sono obbligati dal loro stato, e che i popoli si abituino a guardarli con un occhio rispettoso come a delle persone distinte dal resto degli uomini e separati da una scelta particolare per il servizio di Dio”. Comunque numerosi chierici, membri dell’alta borghesia o cadetti della nobiltà portavano l’abito corto alla francese con grave scandalo dei riformatori cattolici che ritenevano tale abbigliamento come un abuso. Nel suo “ Saggio sulla riforma del clero ” del 1789, l’abate Laurent così scrive : “ Gli ampi contorni della sottana sono troppo imbarazzanti per dei prelati come i nostri. Un grazioso abito corto violetto conviene molto meglio ai loro modi galanti ; così è il loro abito normale in campagna e questo vestito, essi non oserebbero per metterselo in città .., Niente contribuisce meglio ad allontanare i nostri prelati dalle città dall’odio che essi hanno per l’abito lungo ”. A Roma ed in Italia si è in genere meno rigorosi che in Francia. Sisto V nel 1594 impone a tutti i preti residenti nella città eterna di indossare la “ vestis talaris ”. Nel 1624 il cardinal vicario precisa che deve andare dal collo al tallone, ma nel 1708 uno dei suoi successori impone comunque la sottana che dal levar del sole ad una mezz’ora dopo il suo calare. Il cardinale Lambertini, futuro Benedetto XIV, arrivando nel 1731 nella diocesi bolognese, non ha voluto imporre la sottana che per celebrare la Santa Messa , ciò lascia supporre che non la si portava altrimenti. Nel 1736 in una notifica al clero bolognese così scrive: “Alcuni hanno introdotto l’uso di vestirsi talvolta il mattino, e spesso nel pomeriggio, di un corsetto do colore senza mantello e di passeggiare per la città con un abito corto, decente e nero, senza mantello ed una canna in mano, nei luoghi isolati della città o fuori dalle porte ; noi stabiliamo che in tempo di inverno o di pioggia, si porti sull’abito corto di colore nero un mantello dal drappo bruno o di altro colore modesto e che infine, uscendo dalla città per andare in campagna, si porti l’abito corto nella forma sopra descritta, anche di un altro colore modesto, perché la polvere ed il fango sono nemiche del colore nero ”. Gli stessi Papi non sempre si attenevano alla talare. Il cardinale di Bernis, il 4 ottobre 1769, così scrive a Choiseul : “ Il Papa ( Clemente XIV ) galoppa tutti i giorni a cavallo ed i suoi ufficiali non possono seguirlo. Egli si è fatto fare un abito corto bianco, stivali bianchi, un cappello rosso ”. In Francia la rivoluzione rimise l’abito clericale completamente in questione. Il 6 aprile 1792, Venerdì Santo, il vescovo costituzionalista dello Cher, mons. Tornè fece votare dall’assemblea legislativa la soppressione dell’abito clericale. All’indomani del 10 agosto con la caduta della monarchia , l’assemblea nazionale vieta di nuovo l’uso dell’abito ecclesiastico e non lo permette che ai sacerdoti giurati nell’esercizio delle loro funzioni e nel circondario dove esercitano. Quando la pace si ristabilisce con il Concordato del 1801, la quasi totalità dei preti da circa dieci anni ha preso l’abitudine di portare un abito civile. Gli articoli organici aggiunti unilateralmente al Concordato da Bonaparte , sotto l’ispirazione del’ex vescovo Talleyrand, riprendono il divieto del 1792 e con l’articolo 41 viene vietato l’uso della talare al di fuori delle celebrazioni di culto e viene imposto l’abito nero con le facciole alla francese. Nel 1803 l’arcivescovo di Lione, il cardinale Fesch, zio di Napoleone Bonaparte, nella sua ordinanza sull’abito aveva proibito ai chierici di portare la cravatta di colore. Nel 1804, su istanza di mons. Bernier, vescovo di Orleans, il decreto del 17 nevoso anno XII autorizza tutti i preti a portare abiti convenienti al loro stato secondo gli antichi usi della Chiesa, ma solamente nel luogo della loro giurisdizione. Nel giugno del 1813, proprio quando l’imperatore è in conflitto acuto con la Santa Sede, il cardinale Maury,  amministratore capitolare di Parigi , indirizza al suo clero una lettera sull’abito dove sottolinea che l’abito civile imposto a forza dalla rivoluzione non è più tollerabile, ma poiché parecchi preti indossano un vestito “ quasi interamente secolare ”, egli riprende le norme sinodali precedenti che giungono a tutto il clero, sotto pena di sospensione “ ipso facto ” di indossare l’abito lungo con le facciole nel luogo di loro residenza. Il cardinale Maury così scrive : “ Queste sante leggi sinodali ordinano anche a tutti gli ecclesiastici, quando essi escono dal loro territorio, di vietarsi le forme e i colori degli abiti puramente laici e li obbligano a conservare il collare e l’abito colore nero, in modo che si riconosca sempre in essi, già a prima vista lo stato sacerdotale al quale hanno l’onore di appartenere”. Gli statuti sinodali di Versailles del 1846, prescrivono la sottana nel luogo della residenza e raccomandano semplicemente le facciole e la fascia, ma aggiungono: “ Il costume di portare la sott’anella per il levita in viaggio è troppo generalmente stabilita perché noi pensiamo di vietarla ; ma non sapremmo tollerare l’uso degli abiti di colore sgargianti e gli ecclesiastici della nostra diocesi non si permetteranno nei loro viaggi che degli abiti neri o bruni e di tale forma che li possa a primo colpo d’occhio riconoscere per la loro santa professione ”. A Parigi dopo la rivoluzione dell’estate del 1848 ,  l’Arcivescovo chiede ai suoi preti di non portare i pantaloni sotto la sottana perché non è convenevole. L’Abate Micron, autore anonimo del “ Curato di campagna ”, arriva fino a canonizzare la mutanda scrivendo per l’appunto :” Si porta la santa mutanda per orrore dell’abito, chiamato rivoluzionario (i pantaloni) , che è per tutti un brevetto evidente di indisciplina, di rilassamento, di spirito moderno”. Quanto al cappello che i preti portano nel XIX sec. , bisogna segnalare il tricorno come quello che i Fratelli delle Scuole Cristiane, fondati nel1680 a Reims da san Giovanni Battista de La Salle, hanno custodito fino ai primi anni 50 del ventesimo secolo. Verso il 1860, s’introdusse l’uso del cappello bicorno che i preti francesi hanno portato fino a poco prima della seconda guerra mondiale con grande indignazione di Barbier di Montault che pretende che queste forma è lasciata al giudizio degli Ordinari, benché discenderebbe dalla tunica di Cristo! Secondo Barbier da Montault, l’abito da città a Roma, sotto Pio IX era fondamentalmente l’abito corto e il Papa vietò ai cardinali di presentarsi alle udienze pontificie in abito corto come era di uso, inoltre il Papa si adoperò molto affinché la nera talare ridiventasse l’abito usuale del clero diocesano degli Stati Pontifici. Per circa un secolo, fino al Concilio Vaticano II, non solo la totalità del clero diocesano dei paesi latini (Francia, Italia, Spagna, Portogallo), portava sempre e dovunque la sottana, ma gli stessi seminaristi a 14 anni ricevevano la vestizione e portavano la talare sempre anche quando giocavano a pallone o andavano al mare. In molti seminari, il chierico si coricava vestito della talare e sotto le lenzuola la toglieva per mettere il pigiama. Il Primo Sinodo romano nel 1960, essendo Papa Giovanni XXIII, prescrive “ secondo l’uso della città ” la sottana senza alcuna menzione dell’abito corto, inoltre  papa Giovanni aveva più volte raccomandato al clero romano di portare sempre, anche in estate, il cappello detto popolarmente “saturno”. Una volta diventato Papa il cardinale Roncalli aveva rivisto completamente la sua posizione personale sull’abito ecclesiastico, infatti quando era nunzio in Bulgaria e in Turchia aveva indossato normalmente per anni il clergymen (la forma modernizzata dell’abito corto) e quando era nunzio a Parigi aveva detto più volte in pubblico e in privato di essere favorevole all’adorazione del clergymen per tutto il clero cattolico. A metà degli anni ’60 i vari episcopati d’Europa autorizzarono i vari cleri nazionali a portare il clergymen durante i viaggi. Nel 1962 Robert Rouquette commentando l’autorizzazione del cardinale Feltin ai preti della sua diocesi di portare il clergymen fuori della Chiesa, così scriveva : “ Ci si abituerà presto al clergymen quando sarà generalizzato, com’è da prevedere, nelle grandi città . Tra qualche decina d’anni, per i giovani , un prete con la tonaca sarà altrettanto strano come lo sarebbe oggi un prete che va per le strade in casula o un vescovo che gira sul metrò con la mitria”. Allo stato attuale una grossa percentuale di sacerdoti diocesani, contravvenendo alle norme ecclesiastiche, non porta neppure più il clergymen ma veste come i laici, anche perché se il codice di diritto canonico vigente raccomanda un abito ecclesiastico decente non fissa però delle pene per i trasgressori! Nel 1982 il Papa Giovanni Paolo II , inviò una lettera al cardinale vicario di Roma, dove insisteva sul valore del segno distintivo che l’abito ecclesiastico comporta e scrive: “ Devo però soprattutto rivelare che ragioni o pretesi contrari, confrontati oggettivamente con il senso religioso e con le attese della maggior parte del popolo di Dio, e con il frutto positivo della coraggiosa testimonianza anche dell’abito, appaiono molto fondamentali allo stesso ministero sacerdotale hanno spinto Giovanni Paolo II a sollecitare una più attenta vigilanza da parte dei vescovi sul tema dell’abito ecclesiastico e così scrive : “Nella moderna città secolare dove si è così affievolito il senso del sacro, la gente ha bisogno anche di questi richiami a Dio, che non possono essere trascurati senza un certo impoverimento del nostro servizio sacerdotale”. Per quanto riguarda i membri degli istituti o ordini religiosi la maggioranza dei membri veste in borghese ed in genere solo i nuovi gruppi religiosi come i Legionari di Cristo, i Frati dell’immacolata o i Lumen Dei porta sempre l’abito ecclesiastico. E’ certo che l’abbandono dell’abito ecclesiastico è un segno della rilassatezza disciplinare e della perdita del senso della “milithia Christi” della Chiesa Cattolica contemporanea, spesso ai raduni del clero si vede la maggioranza dei sacerdoti in borghese, un buon gruppo in clergymen e qualcuno ancora con la talare ma certi vescovi non dicono niente a quelli in borghese e magari fanno qualche battutina ironica su quei rari presbiteri che vanno in talare… Il mistico cattolico Lanza del Vasto diceva: “ Quando un esercito si sbraca, la guerra è persa”.