Vita di Missione: i sogni di un missionario, lottare

Padre Oliviero Ferro

“Padre, perché dobbiamo continuare a lottare? Siamo da soli. Quelli che dovrebbero fare qualcosa, quelli che stanno alla Capitale, pensano solo ai loro affari”. Questo era il ritornello di molti giovani e adulti, quando si parlava con loro sulla necessità di fare qualcosa per rendere migliore il villaggio, la città, la nazione. Certo. Avevano ragione. Ma non si può mettere un limite ai sogni. Se si crede che qualche cosa è bella e vale la pena di lottare, bisogna farlo, anche se costa fatica. Non abbiamo la pretesa di cambiare il mondo. Dio creatore ha impiegato 6 giorni per farlo. Noi ne possiamo impiegare qualcuno in più. E’ un lavoro di coscientizzazione quello che si cerca di fare. Nelle piccole comunità di base, come negli incontri con i giovani e alla celebrazione liturgica della domenica, piano piano si riflette sulle nostre responsabilità come cittadini. Non possiamo aspettare che vengano da lontano a fare quello che possiamo fare noi. Quando nel quartiere di Tongu, nella zona più interna della parrocchia,sono caduti tutti i ponti, abbiamo chiesto al capo quartiere e alla gente di fare qualcosa. All’inizio dicevano che bisogna fare intervenire il Comune. Poi visto che nessuno si muoveva, si sono decisi. Sono andati a tagliare alcuni tronchi e li hanno messi al posto di quelli che erano caduti. E così hanno rifatto anche il grande ponte, distrutto da una camionetta troppo carica di cose e di persone (2 morti). Non ci voleva molto. Ma il riuscire a capire che si deve lottare insieme per il bene comune è stata una piccola vittoria. Un sogno realizzato.