Acciaroli/Pioppi: la costa della legalità

Aldo Bianchini

Da decenni l’incantevole tratto di costa cilentana tra le località di Acciaroli e Pioppi del comune di Pollica è stato, non a torto, ritenuto un vero e proprio avamposto della legalità. Per varie ragioni la camorra, quella con “C” maiuscola, non ha mai trovato terreno fertile per i suoi sporchi affari. La ragione più semplice sta nel fatto che quel tratto di costa dorata è stata da almeno trent’anni la meta preferita di alcuni tra i magistrati più noti del Paese. Forse è proprio in una delle tante ville con terrazze sul mare che prese corpo, nella sua struttura organizzativa, la più grande azione giudiziaria che per la storia prenderà il nome di “Mani pulite”. Cominciò per prima Ferdinando Pomarici, pm milanese esperto nella lotta al terrorismo ed alla malavita organizzata, sue alcune inchieste a carico delle Brigate Rosse e di Renato Vallanzasca. Imponente nel fisico ed amante della motocicletta amava scorazzare per ore ed ore lungo tutte le strade della “costa brava”, aveva sposato una ragazza cilentana (diventata poi anche direttrice regionale dell’INAIL della Lombardia) e quindi si sentiva e si sente un uomo del posto. Dalla sua villetta sui contrafforti rocciosi tra Acciaroli e Pioppi dominava tutta la zona di mare (colorato di cobalto) compresa tra punta Campanella e la piana di Ascea. Più di vent’anni fa cominciò a far capolino in quella villetta un altro magistrato, Gerardo D’Ambrosio, all’epoca prima collega di Ferdinando e poi procuratore aggiunto di Milano. Con D’Ambrosio la calata dei magistrati milanesi si intensificò e ad Acciaroli arrivarono anche Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Antonio Di Pietro e finanche il gip Italo Ghiti (quello che firmò l’ordine di cattura per Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano). Insomma quello che dal ’92 rivolterà l’Italia come un calzino si riunisce le prime volte proprio ad Acciaroli nell’accogliente Hotel L’Ancora. E da qui che parte la tangentopoli nazionale ed è qui che nasce la grande amicizia tra il “Tonino” nazionale e l’avvocato Giuseppe Lucibello (detto Geppino) di Vallo della Lucania, un’amicizia che darà a tangentopoli una spinta decisiva. Ricordo che all’epoca Geppino Lucibello, in un lungo ed appassionante editoriale dell’avv. Diego Cacciatore, venne definito “Geppino, calimero tutto nero”, nomignolo con il quale Cacciatore voleva stigmatizzare la collaborazione di Lucibello con Di Pietro. Si sussurra che qualche puntatina in quell’hotel la fecero anche Francesco Saverio Borrelli (capo della procura milanese) e Giancarlo Caselli (il magistrato che arrestò Renato Curcio e mise sotto processo Giulio Andreotti, attuale procuratore di Torino) che già allora era molto amico di Alfredo Greco. La parte del leone, come era giusto, la faceva sempre “Tonino”, quando arrivava lui sul posto piombavano più forze dell’ordine che in tutto il Paese. Insomma quella zona di pochi chilometri quadrati sembrava davvero una torre inespugnabile. Ma ad Acciaroli, sempre nell’Hotel L’Ancora, arrivano anche diversi magistrati (Domenico Santacroce, Anacleto Dolce, Alfredo Greco, Michelangelo Russo, Luigi D’Alessio e Vito Di Nicola) quasi come se andassero a scuola di lotta contro i reati nella pubblica amministrazione, ma soprattutto per mettere insieme quel castello di accuse incredibili e mai sedimentate in sentenze passate in giudicato contro i big politici locali di quegli anni. L’Hotel L’Ancora, all’epoca, apparteneva ad una società con a capo la sig.ra Soffritti Maria Luisa, moglie dell’imprenditore vallese Alberto Schiavo. Quest’ultimo nel giro di pochi mesi, forse spaventato ed anche condizionato da una presenza così massiccia di magistrati nell’hotel della moglie, decide di collaborare con gli inquirenti dando il via, nell’aprile del ’93, alla più grossa inchiesta giudiziaria distrettuale con la conseguente fine politica di personaggi come Gaspare Russo, Carmelo Conte e Paolo Del Mese. La calata dei magistrati milanesi è continuata per molti anni e, forse, ancora oggi (grazie sempre a Pomarici) continua anche se in misura minore. Immaginate quindi in quegli anni quali fossero le misure di sicurezza approntate nell’intera zona da parte delle forze dell’ordine a tutela di uomini-magistrati impegnati nella lotta contro il terrorismo e contro la cosiddetta prima repubblica. In quel clima nasce anche l’amicizia tra Angelo Vassallo, Alfredo Greco e Gerardo D’Ambrosio, e non solo; in quel clima Vassallo si sente sicuro e ben protetto, quasi intoccabile, tanto da dare a tutta la sua lunga azione politico-amministrativa il marchio della legalità, della trasparenza e dell’intransigenza, fino al suo ultimo istante di vita. Sapeva bene di muoversi in un territorio che da anni veniva setacciato palmo a palmo dalle forze dell’ordine speciali ed antiterroristiche, al di là dell’inefficienza dell’Arma locale lamentata dai parenti dell’ucciso. Per questo, sono convinto, che la camorra non c’entra affatto con il barbaro omicidio del sindaco pescatore come egli stesso amava definirsi. Lo dice anche Edmondo Cirielli che non vede nell’agguato la mano della camorra, lo grida oggi anche il fratello Dario che invita gli inquirenti ad esplorare anche altre piste per individuare “il pazzo” che si è scatenato l’altra sera in una stradina oscura e poco trafficata. La vendetta sembra la causa più probabile. Le prossime ore ci diranno, forse, qualcosa di più.

  

4 pensieri su “Acciaroli/Pioppi: la costa della legalità

  1. Anche io condivido l’analisi del dott. Bianchini e sono convinto che più che camorra, al limite si possa parlare di un singolo camorrista, forse “offeso” nella sua “dignità” da qualche intervento del Sindaco Vassallo. Ma, poichè mi ha incuriosito il riferimento fatto dal dott. Bianchini al prof. Franco Mastrogiovanni, sono andatoa girolonzare un pò su Internet e ho scoperto la storia del “maestro più alto del mondo”, che effettivamente sotto molti aspetti è oggettivamente inquietante e forse non ha torto il dott. Bianchini ad associarla, come mera ipotesi, si intende, alla morte del Sindaco Vassallo. Ho operato ed opero in terre di camorra ( periferia Nord di Napoli, Casertano) e ho tratto la convinzione che non rientri, se non come estrema ratio, tra i metodi della criminalità organizzata l’uccisione di Uomini delle Istituzioni, e ciò per ovvie ragioni di tranquillità economica. Gli affari la Camorra preferisce farli nel silenzio delle Istituzioni e non ha interesse ad accendere i riflettori su aree di possibili investimenti. Tra l’altro, oggi, per quanto è a mia conoscenza, la Camorra investe nella grande edilizia, ( a proposito, dott. Bianchini, a quanto un’inchiesta sui centri commerciali?)e nel comprensorio di Pollica nemmeno un sindaco, per quanto colluso, può assicurare grossi interventi edilizi ( Ente Parco, Soprintendenza, vincolo di inedificabilità assoluta, ecc.).Una sola osservazione per il dott. Bianchini: tra i tanti magistrati frequentatori di Acciaroli se ne è dimenticato uno, che pure ha fatto storia a Salerno: il dott. Filippo Spiezia, assiduo fequentatore della spiaggia di Acciaroli.

  2. Il commento-analisi di Marcello Romano è assolutamente condivisibile perchè fatta da un uomo che lavora in territori pericolosissimi. La cosa allucinante e sconfortante riguarda gli inquirenti che fin dal primo istante hanno parlato di camorra senza mezzi termini. Forse è il modo più sbrigativo per “non” risolvere il problema tenuto che in fatto di indagini tradizionali (cioè senza pentiti) non si va da nessuna parte. Un saluto a tutti.

  3. Le ricostruzioni che spesso pubblica Bianchini sono molto ninteressanti. come questa dell’Hotel L’Ancora di Acciaroli, perchè sono fatti assolutamente inediti e che grazie a lui entrano nei ricordi della gente comune. Insomma Bianchini non ripropone fatti di cronaca già noti (come tutti stanno facendo in questi giorni a commento dell’uccisione di Vassallo) ma contribuisce a costruire la cronaca. Complimenti.

I commenti sono chiusi.