Profumo di Dante tra lesine e “Piedi di porco”

     Antonio Pirpan

La settimana scorsa ho portato al calzolaio un paio di scarpe ancora in buono stato, per far sostituire i tacchi di suola consumati con altri nuovi di gomma, più morbidi e meno rumorosi, sui quali ci cammino meglio. Non per tirchieria, sia chiaro, ma per la semplice abitudine, che viene da lontano, di non buttare niente che sia riparabile. Come la lavatrice o il televisore, abbisognevoli di un pezzo di ricambio, un dente semi cariato da rimettere in sesto con una semplice trapanatura, o lo sportello ammaccato della tua auto. L’occasione ha risvegliato un bel ricordo di gioventù, ed ecco la sagoma di mastro Tobia, il vecchio calzolaio del mio paese, con la sua barba bianca e una massa di capelli ispidi e riccioluti. Gli anni di fatica che gli avevano ingobbito le spalle e ingrossato le nocche delle dita, non erano riusciti a spegnere il suo buonumore. Aveva studiato fino alla media, ma sapeva a memoria molti versi della Divina Commedia. Uno gli piaceva in particolare: “ed egli avea del cul fatto trombetta” (Inferno, canto XXI, verso 139), con il quale ci salutava la mattina quando passavamo per andare a scuola. Che simpaticone! Entravo sempre volentieri nella sua bottega; mi affascinavano l’odore del cuoio, i vecchi strumenti di lavoro, e l’ordine nell’apparente disordine. Sul banchetto c’erano sempre la lesina (assuglia, per il volgo), il bussetto (o piede di porco), le setole di maiale, la pece, il cuoio. Nessun lucidante, ma solo la sua preziosa “sputazza”. Mi attraeva in lui l’amore per il lavoro ben fatto, la sapienza artigiana, lo scrupolo, l’abilità molteplice delle sue mani, la devozione all’opera quotidiana, al di là del guadagno, che era scarso; e ciò mi induceva a riflettere sul fatto che ci fosse un parallelo tra l’artista e il calzolaio, come tra il poeta e il contadino, poiché non si diventa né l’uno né l’altro se quello che sta a cuore è soprattutto fare soldi. Oggi tutti lavorano quasi esclusivamente per il danaro, che ha sostituito la gioia del lavoro compiuto come obiettivo ultimo. Si dirà che, con i condizionamenti della odierna società, questo sia quasi inevitabile, ma come sarebbe bello se la gente, oltre che nel guadagno, trovasse soddisfazione e piacere nel lavoro che fa. Vedremmo, così, più medici fare visite domiciliari, meno insegnanti scioperaioli, più postini sorridere quando li incontri nell’androne del palazzo, e meno spocchiosi controllori nei mezzi pubblici cittadini.