La violenza non ha giustificazioni
Giovanna Rezzoagli
La maggior parte delle violenze contro le donne avvengono tra le mura di casa, ad opera di familiari conviventi o, comunque, di persone conosciute. Sono tante le donne, le ragazze, le bambine che ogni giorno subiscono maltrattamenti. Spesso per lunghissimi periodi, spesso in un clima di tacita sopportazione, in contesti culturali in cui addirittura viene trasmesso il concetto che una certa dose di maltrattamenti siano pressoché “normali” in famiglia o nel rapporto di coppia. Non succede in lontane zone del mondo, o meglio, non succede solo in zone lontane del mondo. Succede proprio nel nostro Paese che si vorrebbe dire moderno, ma che non riesce a sradicare una misoginia latente, strisciante, vile. Un Paese che, sotto sotto, vorrebbe la donna come un bell’oggetto da esibire, o al contrario, da tenere ben chiusa in casa a ricoprire il clichè della moglie devota. Riducendo ai minimi termini: o santa o di “facili costumi”, ovviamente il tutto filtrato attraverso i peggiori stereotipi sessisti che albergano nei pensieri di molti uomini e di tante donne. Il punto delicato della questione è fondamentalmente questo: la donna “deve” essere classificata, naturalmente giudicata, soprattutto colpevolizzata di essere creatura misteriosa, capace di risvegliare la parte più sordida del maschio e avere il coraggio di ritenersi a lui pari. Parole forti e scomode, ma quanto lontane dal reale sentire , quello intimo, di molti? Sarebbe bello che non rispecchiassero la realtà. Sarebbe bello che l’Italia fosse un Paese in cui le donne non avessero bisogno di giustificarsi con nessuno se oltre ad essere belle sono pure intelligenti, in cui le donne intelligenti e non bellissime non fossero guardate dall’alto in basso con una sorta di malcelato disprezzo. Perché la donna intelligente spaventa. Sarebbe bello che ogni donna potesse essere libera di vivere la propria vita senza dover lottare per una parità di diritti che tante volte vengono negati. Soprattutto sarebbe bello che uomini e donne non si ponessero un obiettivo di uguaglianza, ma di rispetto delle reciproche diversità e peculiarità. Non è l’appartenenza al genere che rende una persona migliore o peggiore delle altre. In ogni caso un Paese che abbia l’ardire di definirsi civile, mai in nessun contesto dovrebbe validare la violenza, verso chicchessia. Mesi dopo l’ultima sentenza della Cassazione in ambito di violenza domestica, la via per la civiltà è diventata molto più tortuosa. Il tempo tende ad affievolire l’impatto sulla cosiddetta opinione pubblica di eventi che, invece, è saggio non dimenticare. Rispolveriamo il caso in questione: lo scorso lugliola Suprema Corte ha annullato la condanna ad otto mesi di reclusione inflitta ad un quarantacinquenne di Livigno (SO) per i maltrattamenti e le percosse cui sottoponeva la moglie. L’uomo si è giustificato sostenendo che la moglie possiede un carattere forte e che non era affatto intimorita dagli episodi oggetto di denuncia. Evidentemente la Corte ha dato ragione al marito. Che dire? Poco o nulla. Mi chiedo cosa significhi “avere un carattere forte” e come sia possibile affermare che violenze e percosse non ingenerino timore. Rassegnazione, annichilimento, certamente, ma che non ingenerino paura, a meno di trovarsi di fronte a patologie psichiatriche che producano un’alterata percezione della realtà, è impossibile. Un tremendo passo indietro per tutti noi, uomini e donne, questo rappresenta la sentenza di assoluzione nei confronti di questo fulgido esemplare di homo sapiens sapiens. Dopo un’estate in cui tante donne hanno perso la vita per mano di compagni trasformatisi in spietati assassini, una riflessione è, quantomeno, d’obbligo.