Egemonia e persuasione
E’ ormai un luogo comune riconoscere la funzione, evidente e decisiva, dei media nella formazione e nell’organizzazione del consenso delle cosiddette masse , sul quale si reggono oppure – direbbe Machiavelli – “ruinano” le oligarchie politiche e anche, si badi, economico-finanziarie e appunto mediatiche dominanti nell’attuale società globalizzzata. Non si vuol ora sostenere che l’egemonia di un partito o di una classe o di uno “stato” – nel senso degli “stati generali” dell’ ancien régime – non avesse bisogno del consenso dei sudditi o del “popolo” per mantenersi e per esercitare il potere – assoluto come quello del Re Sole (o anche “democratico” come nell’Atene di Pericle o nella res publica romana) anche prima che le masse divenissero determinanti per le sorti delle suddette oligarchie; ma allora si trattava di un consenso per così dire naturale, quasi trasmesso di padre in figlio e benedetto dalla religione, pagana o cristiana che fosse, in quanto garanzia dell’ordine naturalmente gerarchico della società (ricordiamo che persino nella città ideale di Platone la funzione dei “custodi” o guerrieri era, oltre quella delle difesa dai nemici esterni anche quella di assicurare la pace sociale interna, nel caso venisse in mente a qualcuno di turbarla con rivolte o sedizioni dettate dai più bassi e bestiali istinti tipici di quella parte dell’anima umana dominata dalla concupiscenza). Questo stato di cose cambiò quando le masse – o meglio le élite che se ne servivano come massa di manovra – cominciarono a ribellarsi e a rivendicare diritti, in nome della libertà e dell’indipendenza dal sovrano, come nella rivoluzione americana, e in nome dei diritti dell’uomo e del cittadino, come in quella francese. Da quel momento in poi divenne sempre più chiara la necessità di “orientare” le idee e soprattutto i sentimenti di quelle masse che potevano sostenere o travolgere i poteri costituiti, anche se, e anzi a maggior ragione, democratici e repubblicani. Di qui l’importanza dei mezzi di informazione e di propaganda come i giornali, che non per caso si moltiplicarono e si diffusero come mai in precedenza nelle convulse fasi della lotta per il potere nel corso della rivoluzione francese (e che furono drasticamente “normalizzati” sotto il regime di Napoleone I); e ovviamente l’importanza strategica di una pubblica istruzione centralizzata e controllata dall’alto. Con il progredire dell’alfabetizzazione e dei mezzi di telecomunicazione, progredì di pari passo la tecnica della persuasione e della manipolazione delle coscienze, dal momento che, data anche la continua crescita della popolazione, favorita dai progressi della medicina e dalle migliorate condizioni della vita media, l’istruzione stessa poteva costituire, se male intesa, un pericolo mortale per il sistema di sfruttamento della manodopera necessaria al profitto e all’espandersi del mercato e dei consumi, “pubblicizzati” con l’ausilio delle più raffinate tecniche messe in opera dai professionisti della persuasione più o meno occulta, con i meccanismi psicologici così ben spiegati dal sociologo americano Vance Packard nel suo lungimirante lavoro sui Persuasori occulti (1958). Una volta verificata l’efficacia di queste tecniche in un sistema di libero mercato, come impedire che venissero impiegate anche nella “libera” competizione politica in un sistema liberaldemocratico? E difatti, in questo tipo di situazione, “la manipolazione politica e la persuasione di massa dovettero solo attendere, per riuscire veramente efficaci, l’arrivo dei manipolatori di simboli. Costoro non rivolsero la loro attenzione al mondo politico fino al 1950. Poi, nel giro di pochissimi anni, che culminarono con la campagna presidenziale del 1956, essi introdussero nella vita politica americana dei mutamenti addirittura sbalorditivi. A tal fine si servirono a piene mani degli studi di Pavlov sui riflessi condizionati, degli studi di Freud sull’immagine paterna, della teoria di Riesman sull’elettore americano come spettatore-consumatore di politica, e dell’analisi del mercato di massa condotta dall’agenzia Batten, Barton, Dustin e Osborn.” E così la tecnica del marketing ha fatto il suo ingresso ufficiale nella competizione politica. E la politica che cosa è diventata? Non più certo un’opera d’arte (sia pure grondante di lagrime e di sangue) come la vagheggiava il Segretario Fiorentino, che potesse arginare la fortuna con la virtù dei principi; e nemmeno più il rassicurante e paterno “Stato sociale” delle socialdemocrazie tardonovecentesche; men che meno l’autogoverno dei cittadini finalmente liberi, emancipati e padroni di se stessi nella diversità dei ruoli e nell’uguaglianza dei diritti universali. Che cosa è dunque diventata questa politica postmoderna che a parole si dichiara al servizio dei cittadini-elettori e del bene comune, ma che di fatto non vede aldilà del proprio naso e non guarda oltre il cortile di casa, solo intenta al proprio particulare? E questa politica non è forse anche il frutto dei nostri particulari egoismi di bottega, di gruppo, di corporazione, di partito? E come si spiega il tramonto delle grandi narrazioni ideologiche, delle speranze e dei miti per cui tanti uomini e donne hanno combattuto e sacrificato le loro vite nel secolo scorso? La nostra – scrive Carlo Galli nel suo saggio Perché ancora destra e sinistra (2010) – “è un’epoca di spazi politici sfumati e incerti, in cui coesistono e contrastano scale differenti – locali, statali, poststatali, regionali, globali -, è un mondo liquido, fluido, instabile, frammentario, insicuro, attraversato da conflitti, paure, incertezze. In questo contesto la politica non si presenta con le coordinate ugualitarie di origine razionalistica e illuministica, e le istituzioni includenti lo Stato sociale, ma si struttura secondo molteplici contrapposizioni ed esclusioni…Insomma, il passaggio dalla modernità alla contemporaneità è il passaggio dalla crescita al rischio, dal progresso al labirinto. E’ la crisi della capacità normativa di politica e diritto centrata sulla soggettività, e il trionfo della normatività instabile e oltre-umana della tecnica e dell’economia.” Se il quadro è questo, e non ne vedo un altro, ci troviamo in una specie di grado zero della politica, malgrado l’enfasi propagandistica dell’uomo della Provvidenza e, ahimè, le formule botaniche di una Sinistra tarantolata dal pifferaio incantatore di serpenti e serpentesse, padrone, non per niente, di giornali e televisioni (per tacer del resto). In questo quadro le destre hanno buon gioco nel promettere ordine e sicurezza, ma non sanno poi definire in che cosa consista il vero ordine e la vera sicurezza, dal momento che anch’esse vivono nell’incertezza del domani e hanno perso la mappa di quei valori che pretendono difendere ma che non riescono neppure a nominare con esattezza, o che, pur nominandoli, sono lungi dall’incarnare. Si può ben comprendere come, in un simile sfacelo dell’etica pubblica (e privata), molti fedeli cattolici guardino al Papa più come a un nuovo Cesare che a un nuovo Pietro, ma temo che si sbaglino e confondano Cesare con Pietro, forse perché non sanno più bene che cosa spetti all’uno e all’altro. E noi, sappiamo chi veramente siamo? Ecco, se ripartissimo da questa domanda forse potremmo anche incontrarci nell’altrui, comune umanità, senza più bisogno che ci venga detto da altri chi siamo e dove dobbiamo andare e che cosa dobbiamo pensare. Tanto meno che cosa dobbiamo comprare per la nostra felicità.