San Francesco Saverio Bianchi e il demonio
Francesco Saverio Bianchi nacque ad Arpino (FR) il 2 dicembre 1743, crebbe in un’atmosfera di carità verso il prossimo: sua madre aveva trasformata parte della casa in un piccolo ospedale di 16 letti, per ammalati poveri e senza assistenza. Trascorse una adolescenza più che “normale”: si confessa goloso e ladruncolo in casa e la sua santità appare come una conquista lenta della volontà. Nel 1762, riuscì ad entrare nell’ordine dei Barnabiti fondato da sant’Antonio Maria Zaccaria, fu ordinato sacerdote nel 1767; per un paio d’anni insegnò ad Arpino poi a Napoli, dove restò fino alla morte. La sua fama di dotto barnabita gli procurò vari incarichi di prestigio. Fu superiore per 12 anni del Collegio di Santa Maria in Cosmedin a Portanuova; professore straordinario dal 1778 nella Regia Università; socio della Reale Accademie di Scienze e Lettere e dell’Accademia Ecclesiastica. Ben presto fu considerato santo, perché sempre più si dedicava alle opere di carità e all’apostolato in mezzo agli umili. Dal 1777 al 1791 fu confessore di santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe (la santa dei Quartieri Spagnoli di Napoli); intorno a lui si formarono alla santità i venerabili Placido Baccher, Mariano Arciero, Francesco Maria Castelli, Giovanni Battista Jossa, il servo di Dio Agnello Coppola. Ebbero relazioni spirituali con lui anche il beato Vincenzo Romano e la Venerabile Maria Clotilde di Savoia in esilio a Napoli e molti cardinali e vescovi. Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe diceva: “Due Filippo abbiamo, uno nero e uno bianco”. Francesco Sacerio pregava incessantemente e si adoperava in tutti i modi soprattutto per la salvezza delle anime. Quando la sua congregazione come pure tanti ordini religiosi furono soppressi dalle leggi dello Stato Italiano, egli continuò ad osservare fedelmente la regola professata. Il Signore, tuttavia, non lo liberò dalle persecuzioni del demonio che si accaniva con ripetuti attacchi per farlo cadere nel peccato. Ma non ci riuscì, perché aveva trovato in Francesco Saverio un esperto antagonista, che lottava con le armi della preghiera e della mortificazione. Il santo conosceva questo genere di lotta sin da quando, giovane confessore, a preferenza di tanti altri, era stato scelto dal suo Arcivescovo come esorcista, perché era dotato di pietà, scienza, prudenza e integrità di vita. Si accorgeva subito delle insidie che il maligno ripetutamente gli tendeva, ma riportò sempre vittoria su di lui, perché al primo attacco si rifugiava nella preghiera ed invocava l’aiuto di Maria. Non sopportando di essere sconfitto, Satana si vendicava maltrattando e oltraggiando la sua persona. Così un giorno, mentre usciva dal convento per andare a far visita a Suor Maria Francesca, gli lanciò contro una boccia, senza che si vedesse chi l’avesse scagliata. Un’altra volta, appena uscito dalla stanza della santa, fu sollevato in alto e poi furiosamente scaraventato a terra. Spesso gli appariva sotto le forme di un omaccio tarchiato e nerboruto, che lo tormentava e maltrattava duramente anche di notte. Si sentivano rumori strani che provenivano dalla sua stanza. Si pensò bene, allora, di aspergere la sua cella con l’acqua benedetta e ricorrere alle preghiere che si recitano normalmente durante gli esorcismi. Dio permetteva gli assalti del demonio, per mantenere Francesco Saverio nell’umiltà e fortificare il suo ministero sacerdotale. Come tutte le anime privilegiate e amate da Dio, conobbe la sofferenza. Aveva dolori fittissimi alle gambe, che erano diventate gonfie e purulenti, Col tempo si aggravò a tal punto da non poter camminare: rimase tredici anni bloccato in quello stato. Ogni movimento gli produceva dolori lancinanti. Nonostante fosse nell’impossibilità di alzarsi, di muoversi e di reggersi in piedi, non volle mai tralasciare di celebrare la Santa Messa. In quei momenti, egli diceva che i dolori si attenuavano. Il tre luglio del 1811 aveva avuto il permesso dalla Santa Sede di poter celebrare nella sua stanza. Nonostante le sofferenze non tralasciò il suo ministero, continuava a confessare, ad accogliere ed ascoltare gente. A distribuire coraggio e gioia. Soffrì anche la notte dello spirito. “Iddio- diceva già molti anni prima- mi ha fatto la grazia di servirlo ed amarlo in ilarità di spirito; ma alla fine dovrò sentir pur io le tribolazioni, le angustie dell’anima, la forza della tentazione”. Satana, infatti, lo tormentò fino all’ultimo con pensieri di superbia, per farlo compiacere ed attribuire a sé e non a Dio il bene fatto; con dubbi su alcune verità di fede e con pensieri impuri. Lo spingeva perfino alla disperazione, facendogli considerare Dio soltanto come giudice implacabile. Il santo, spossato nelle membra doloranti, pregava, con un fil voce, con giaculatorie, impetrando la misericordia di Dio e raccomandandosi alla Madonna. Era l’esempio vivente del devoto di Maria, la cui devozione aveva sempre inculcato a tutti i suoi figli spirituali: “Non lasci ognuno di continuamente pregare la Madonna, e specialmente la preghi ad ottenergli dal Signore la grazia di sempre pregarla, di sempre chiamarla in suo aiuto, dicendo: Madonna mia, aiutatemi; aiutatemi, Madonna mia… Guai a chi per un giorno trascura di raccomandarsi a Maria!”. Si addormentò nel Signore il 31 gennaio del 1815, dopo aver ricevuto la santa Comunione come viatico. Leone XIII lo dichiarava Beato nel 1893 e Pio XII Santo nel 1951.