Kodachrome addio!

di Rita Occidente Lupo

C’era una volta la fotografia e la gemella diapositiva: quella proiettata, sulla parete bianca. Immagini e scorci di vita, prima in bianco e nero, poi a colori. L’ingresso della fotografia digitale, manda in soffitta le pellicole Kodachrome, pallido ricordo di anni dal dopoguerra, in cui il piccolo schermo, come la televisione in bianco e nero, momenti aggreganti della vita familiare. Le immagini tascabili, se si vuole, pronte a riproporre scene vissute e luoghi fantastici, dopo 74 anni, nel museo del passato epocale. Sviluppato l’ultimo rullino nel laboratorio Dwayne’s Photo a Parson, in Kansas, ultimo posto che sviluppava pellicole Kodachrome, la fine di un’era, alla quale nei giorni scorsi anche il New York Times ha dedicato ampio spaccato. Kodak dona gli ultimi rullini al George Eastman House International Museum of Photography and Film di Rochester,  che detiene la collezione più grande al mondo di fotocamere e artefatti correlati. Un epilogo che tira i remi in barca, dinanzi alla strepitosa avanzata di sistemi sempre più sofisticati, per immortalare attimi fuggenti e tappe di vita. Con notevole malinconia, fotografi e cineasti, operatori ed amanti della camera oscura, s’adeguano alle nuove istanze che il terzo millennio propina. Preziose pellicole, che con il loro involucro giallo, la Kodachrome ha propinato in diversi formati per oltre mezzo secolo, attrezzandosi alle singole esigenze. Il vecchio resta, se si vuole, sempre caro a chi ha rudimentalmente battezzato la sua arte principiante proprio grazie alle pellicole virtuose: tempora mutantur…e scene mutanti…in ogni campo!