Il misticismo di un Santo del Novecento: San Giuseppe Moscati
Dalla profonda religiosità ai percorsi spirituali, dalla speculazione alla riflessione ontologica, dalla testimonianza al mettersi a confronto nel senso del mistero. E’ un viaggio, questo su Giuseppe Moscati (Benevento, 25 luglio 1880 – Napoli, 12 aprile 1927) e intorno a Moscati, che ci conduce verso diverse direzioni. Non so se sia stato o sia, il nostro, un andare incontro a Giuseppe Moscati o è stato Giuseppe Moscati che ci ha cercato tra i tasselli di un mosaico che pongono spazi, pause e convergenze in una dimensione in cui lo stare sui passi e nello sguardo di Cristo è un incidere tra le parole che sono impastate nella sacralità della vita. Ci sono tracciati in questo cercare nei pensieri e nell’ombra di Moscati che sono un sentire misterioso e mistico che ci impone delle riflessioni su alcuni punti tra i quali non si può fare a meno di individuare i seguenti. 1. Mistero metafisico (c’è la lezione chiara di Sant’Agostino che diventa centrale e la cui individuazione porta naturalmente a San Paolo in termini cristiani sino a raggiungere quelle sponde filosofiche molto care a Maria Zambrano che sottolineano l’importanza di abitare il pensiero). 2. Esistenziale – religioso (la sua professione è un segno in un immaginario laico che guarda con molta realtà ma anche con molta fede alla carità e al perdono, puntando sempre come scavo testimoniale alla misericordia). 3. Storico – temporale ( il suo compenetrarsi con la quotidianità diventa fondante e, soprattutto, con quella metafora dell’incontro costante che si trasforma in dialogo. Un dialogare con l’altro significa anche ritrovare l’altro o ritrovarsi nell’altro, con quell’altro con il quale è possibile stabilire un rapporto nella serenità e nella solidarietà come nel caso della sua amicizia con Bartolo Longo). 4. Biblico – teologico ( il suo accostare il pensiero ai versetti del “Cantico dei Cantici” richiama una lettura che ha una trasparenza estrema nella quale l’ombra, o la metafora che esprime il concetto dell’ombra non sussiste neppure come versione allegorica. I versetti del “Cantico dei Cantici” sono l’espressione di un amore coniugato con l’eterno). Sono delle coordinate, queste appena citate, che hanno delle caratteristiche nel pensare sia paolino che mariano. Se il costante richiamo alla verità si ritrova in una sottolineatura paolina e agostiniana la chiarezza, la bellezza e il conforto sono una voce mariana fortemente radicata in tutta la sua vita. C’è da ricordare che alcuni versetti del “Cantico dei Cantici” sono stati fatti incidere in una lapide che Moscati fece affiggere nella grotta di Lourdes riprodotta nella Chiesa di San Nicola da Tolentino a Napoli e in questi versetti c’è sia la devozione mariana e la metafora di Madre “ Maria “ Amore, sia l’anima mariana dell’uomo che pone nei suoi pensieri la cristocentricità. Si legge: “Vieni, colomba, nelle fessure della rupe, nei nascondigli delle macerie, fammi vedere il tuo viso, fammi ascoltare la tua voce, mostra che tu sei madre” (Ct 2,13 – 14). Giuseppe Moscati, sostanzialmente, si consacra a questo Cristo e a questa contemplazione mariana. Due aspetti che trovano nell’adorazione del Dio la forma della preghiera. Scrive Alfredo Marranzini: “In un ambiente saturo di ateismo, di positivismo e di religiosità, le sue convinzioni diventavano più salde e la sua pietà più semplice, illuminata e sentita, aliena da ogni formalismo e abitudinarismo. è infatti adorazione del Dio vivo, scorto da lui presente ovunque; e amore al Sommo Bene, a cui sempre anela; e umile invocazione della Fonte di ogni bene” (Biografia breve di Giuseppe Moscati. La carità nella professione, Edizioni AdP, 2007, pag. 18). Per Moscati, dunque, il Sommo Bene diventa il punto centrale di tutta la sua vita. Di una vita consacrata alla carità sia dal punto di vista professionale, sia dal punto di vista del percorso esistenziale e religioso. Un esistenzialismo religioso che attraversa la filosofia del mistero per ancorarsi negli orizzonti della fede e nella certezza di Cristo. Il tutto è un viaggio il cui sentire è dentro di noi e se non resta dentro di noi o se non è dentro di noi, lo stesso viaggio, o non avrebbe senso o diventerebbe impossibile compiere. Ecco perché va oltre la testimonianza e diventa non solo testimone in un’epoca che non è collocabile in un tempo cronologico preciso ma è un linguaggio che parla le parole del divino. E parlando, sottoscrivendo il sentiero del divino, focalizza il bisogno della grazia. Come per dire che tutti necessitiamo di un atto di grazia. Leggerlo nella fede ma anche in quella cultura cristiana che va oltre ogni materialismo e sa offrire uno sguardo di infinito come quella “bontà luminosa” alla quale spesso faceva riferimento Peppino Moscati. Non so se siamo andati incontro a Giuseppe Moscati o se Giuseppe Moscati è venuto incontro a noi. Ripeto questa cesellatura ma non so se ha un senso o potrebbe avere un senso dopo che Moscati ha occupato il nostro cuore e lo ha occupato con la sua umiltà leggendo le sue parole e approfondendo le sue azioni. Le parole che si fanno conforto ma anche comportamento in quelle regole che sono parte integrante nella vita e nella religiosità della comunanza.