Iconografia di S. Alferio San Michele
Non c’è una grande iconografia di S. Alferio, il fondatore, esattamente mille anni fa, della Badia di Cava de’ Tirreni. Tra le più preziose opere d’arte che ce lo presentano c’è un affresco realizzato da un anonimo artista trecentesco nella grotta Arsicia, oggi inglobata nella chiesa della Badia da S. Alferio fondata. E’ un’ opera, infatti, più unica che rara perchè testimonia la forte devozione di S. Alferio e dei primi benedettini cavensi all’arcangelo S. Michele, devozione sulla quale le fonti letterarie, a quanto finora mi risulta, non spendono molte parole. Nella pittura Alferio è a destra dell’arcangelo mentre a sinistra vi è l’abate benedettino Pietro, di Alferio successore alla guida dei monaci cavensi. L’affresco, staccato dal muro su cui fu realizzato, oggi è in una sala attigua al chiostro della Badia stessa. Si hanno più che buoni motivi per credere ad una grande devozione di Alferio per l’arcangelo S. Michele. Innanzitutto prima di esser monaco Alferio era stato persona di fiducia dei prìncipi longobardi di Salerno, molto devoti al capo degli angeli. Da Siconolfo, primo di questi prìncipi, fino all’ultimo, Gisolfo II, non c’è quasi moneta longobarda salernitana sulla quale non compaia il nome MICAEL ( su un follaro di Gisulfo II c’è anche la figura dell’arcangelo). Al tempo di Alferio c’erano poi ben tre chiese, tutte longobarde, in una Salerno meno estesa della Salerno di oggi, dedicate a S. Michele: S. Angelo di Adelaita in via Trotula De Ruggiero, S. Angelo de marronibus nei pressi del rione Fornelle e S. Angelo de puteo in via dei Mercanti nei pressi dell’attuale chiesa del Crocifisso (quest’ultima Alferio la vide in fase di costruzione o appena terminata perché edificata proprio ai suoi tempi). Incaricato nell’anno 990 dall’allora prìncipe di Salerno di un’ambasceria presso il sovrano del Sacro Romano Impero che si trovava in Francia, Alferio per la Francia partì. Giunto però in Piemonte si dovette fermare nei pressi del monastero di Chiusa di S. Michele perchè si era improvvisamente gravemente ammalato. Si fece trasportare in tal monastero per essere curato dai monaci che l’abitavano, ma il suo male doveva esser davvero grave perché fece voto che se fosse guarito non avrebbe fatto più il diplomatico ma si sarebbe fatto monaco. Guarì e mantenne il suo voto. Non prese il saio nell’abbazia in cui era guarito però, ma andò a rinchiudersi per sempre a Cluny. Il prìncipe di Salerno, saputa la cosa, si dispiacque non tanto perchè Alferio era diventato un monaco quanto perché non lo avrebbe rivisto più. Dove trovare un amico più sincero e un consigliere più fidato di Alferio? Se Alferio fosse ritornato a Salerno anche come monaco per lui sarebbe stata una grandissima gioia. E così scrisse all’abate di Cluny perchè consentisse ad Alferio di fare il monaco a Salerno e non a Cluny. Non trovò ostacoli a questa richiesta l’abate di Cluny ed ordinò ad Alferio di tornare a Salerno. L’ubbidiente Alferio giunse tra i salernitani col saio benedettino addosso suscitando il loro stupore e la loro ammirazione. I salernitani sapevano, è vero, del suo cambiamento di vita ma, abituati a vederlo vestito in tutt’altro modo, non credevano ai loro occhi a vederlo coperto ora da una lunga veste nera. Alferio andò a prender dimora non nel suo palazzo nobiliare (era un nobile Alferio) ma tra i benedettini del monastero salernitano di S. Benedetto. Vi stette un paio d’anni perché, amando sempre più una vita solitaria, di meditazione e preghiera, questa volta chiese lui al suo abate il permesso di uscire dal monastero per andar lontano, nella grotta Arsicia a Cava de’ Tirreni, a vivere i rimanenti anni della sua vita come desiderava. Il permesso gli fu dato. Vissuto alla corte longobarda salernitana caratterizzata da una grande devozione a S. Michele, guarito in un monastero dedicato a S. Michele, finito in una grotta simile alla grotta del Gargano dov’era iniziato in Italia il culto per S. Michele, non si può pensare che Alferio non abbia nutrito da monaco, una tenace devozione per S. Michele arcangelo e che, fondata la Badia, non l’abbia trasmessa ai suoi monaci. Devozione che l’affresco cui accennavo ci vuole ricordare. Di quest’affresco ha parlato Adriano Caffaro nel suo libro “ Insediamenti rupestri del Ducato di Amalfi” pubblicato nel 1986, (da me consultato nella biblioteca “M. Sena” del liceo classico De Sanctis di Salerno) e al quale rimando chi volesse saperne di più.