La vita è una corrida
I confini tra realtà e spettacolo, considerati attraverso la televisione sono sempre più deboli. Dall’uso mistico della parola si è passati nel mondo industriale e post-industriale alla rivelazione tecnologica, la parola viene diffusa attraverso il televisore e si è tanto generalizzata che si è formato un vero e proprio circuito linguistico e sociale parallelo. Prendiamo ad esempio la Corrida; sembra di trovarsi in una società agraria primitiva. Il villaggio si raduna sulla piazza, anzi sull’aia televisiva, e la gente porta con sé attrezzi domestici ed altri strumenti da saltimbanchi: campanacci, fischietti, sirene corni da caccia, per manifestare rumorosamente il proprio dissenso; per il consenso, invece, basta applaudire. Il toro, anzi i tori, sono tutti coloro che arrivano vestiti in tirolese, da danzatrici del ventre, da poeti latini. Arriva anche l’emigrato australiano che capisci già, dai vestiti che ha indosso, che viene da lontano e urla una canzone di Mino Reitano. Il conduttore assiste con divertito e malcelato sadismo. Questa è ormai la televisione, questo è davvero il cortile della festa, delle fiabe, del Carnavale, che i sacerdoti dei riti televisivi sanno gestire come un’arcaica esigenza di liberazione, in un mondo in cui c’è bisogno ormai che la voce esca forte e storta dalla gola, e che i gesti siano sempre scomposti. La vita è una corrida e a noi sembra andare benissimo.