Noi e la cultura
Giuseppe Lembo
Nel nostro strano Paese, è tardo a morire il libero convincimento secondo cui la cultura è un optional di cui si può assolutamente fare a meno. È un convincimento sia del pubblico che del privato; l’effetto che, in maniera devastante ne consegue, è di una mediocrizzazione diffusa della società, sempre meno protagonista e sempre più incapace di riscattarsi umanamente e socialmente. In questo libero coinvolgimento è racchiuso il segreto di un potere ottuso che non vuole il protagonismo, ma le clientele; non vuole la partecipazione, ma l’isolamento e la solitudine; non vuole il confronto, il dialogo, il rispetto tra le persone, ma la piazza mediatica, la violenza dello scontro, l’arena virtuale in cui l’avversario-nemico deve necessariamente soccombere. Cultura! Cultura! Cultura! Che n’è della cultura del nostro Paese; quale il suo vero valore? Ha ragione Francesco Alberini (Corriere della Sera di lunedì 14 febbraio 2011 – La cultura sempre gratis aiuterà i soliti burocrati), quando evidenzia il male oscuro della malacultura intesa come un lusso, uno svago, qualcosa per fare bella figura o per intrattenere gli ospiti. Purtroppo sono sempre più quelli che non riescono a capire il suo vero valore che è nell’essere un patrimonio di conoscenze personali, utili a risolvere i tanti problemi umani e sociali della persona e della società di riferimento ed in quanto tale, è anche un importante valore economico/sociale, proprio di qualsiasi sapere. Non c’è alcun riconoscimento per gli operatori di cultura, per chi da operatore culturale, promuove o produce cultura. Nel pensiero comune, non è una professione; non ha niente a che vedere con quella del medico, dell’avvocato, dell’ingegnere e/o dell’architetto, le cui prestazioni devono essere riconosciute e quindi pagate. La cultura per il nostro Paese, non vale niente; chi la fa o la produce, la deve fare e produrre, in modo del tutto gratuito ed onorifico. L’uomo di cultura non merita riconoscimenti ed ancor meno compensi per quello che fa e che deve essere solo a titolo “onorifico”. La cultura ha una patente identitaria solo nel momento in cui viene burocratizzata e spogliata dalla sua vera identità che ha radici profonde proprio nelle èlites creative. Se questa è la situazione della cultura del nostro Paese, un motivo serio c’è ed è da ricercare nel progetto politico italiano, la cui classe politica, sempre più identificabile in una forte rappresentanza di potere, non vuole assolutamente essere disturbata da gente che pensa in modo indipendente. Perché questo? Perché tanta differenza, con un passato non lontano? Nel passato avevamo una classe politica colta; molti politici venivano dal giornalismo, dal mondo universitario o erano degli ottimi amministratori. Non è certamente possibile tornare alla situazione dei padri fondatori; ma di questo passo c’è solo il baratro. Le cose della società italiana si complicheranno ad un punto tale, da renderle sempre più difficili e senza ritorno. A chi giova? Certamente a chi gestisce il potere. Ma la corda che si tira troppo, prima o poi si spezza. Il popolo-massa dell’Italia disunita, il popolo-plebe, anche se è un popolo silenzioso, è stanco di sopportare; potrebbe anche arrabbiarsi ed incendiare il mondo circostante, un mondo non suo, che non gli appartiene e che, giorno dopo giorno, vede sempre più e solo, come un “mondo nemico”.
Gentilissimo Dottor Giuseppe Lembo, secondo me la vera cultura è prima di tutto un insieme di caratteristiche personali, coltivate e curate con pazienza, arricchite da un’apertura serena verso gli altri e verso le sane istanze che quotidianamente ci coinvolgono. Quando utilizzo il termine “sano” alludo a ciò che ci può aiutare a sviluppare spirito critico, non ad indurre condizionamenti. Nella nostra casa si ai libri, tutti, no alla televisione, ni ai giornali. Sembro forse rigida, ma ho imparato nella mia vita a dover presto contare su me stessa, e credo che la più grande ricchezza di un essere umano sia credere in se stessi, vivere nel rispetto degli altri, imparare dalle singole unicità, saper chiedere scusa e saper difendere ciò in cui si crede. Questa è la mia cultura di vita, ho inteso cosa Lei volesse trasmettere col Suo scritto, ma se non partiamo dalle basi, si costruisce sulle sabbie mobili.
Cordialmente
Giovanna Rezzoagli Ganci