Pasqua: pastiera o colomba?

 Aurelio Di Matteo

L’avvicinarsi della Pasqua offre l’occasione per ricordare quanto l’enogastronomia e l’alimentazione possano concorrere alla valorizzazione turistica di un territorio; quanto, soprattutto per l’area a sud di Salerno, sia importante questa integrazione per le eccellenze paesaggistiche e culinarie, per le incomparabili vestigia storiche e archeologiche e per i valori ambientali e antropologici che essa offre. La globalizzazione, interessando la commercializzazione, ha ad un tempo annullato le identità culinarie territoriali ed ha omogeneizzato gusto, cultura e stili. Proprio i tratti culturali e lo stile etnici dei gruppi sociali sedimentati nella cucina sono gli elementi che maggiormente resistono e si oppongono ai processi di omologazione. La resistenza opposta dagli elementi stilistici tradizionali è più evidente sia in alcuni cibi sia in particolari ricorrenze festive. I cibi tradizionali, soprattutto quelli che si consumano nelle festività tipiche, esprimono un linguaggio ed una grammatica di forme, parole e codici nella quale si riconosce una Comunità, rinnovando attraverso un piatto, un dolce, una ricetta, le proprie emozioni gustative ed estetiche, i propri valori e la propria storia. Per strano destino proprio lo sviluppo tecnologico ed industriale ha permesso la rivalutazione del “regionale”. Man mano che la tecnica e l’industria si sono impadronite dell’alimentazione, omologandola e globalizzandola, si è attivato un processo analogo di rivalutazione delle identità. Quanto più i modelli di consumo tendono ad essere omogenei, tanto più si afferma e si diffonde la riscoperta della cucina del territorio e delle tradizioni gastronomiche locali. Dietro il recupero della cicerchia, del fagiolo di Controne, del cecio di Cicerale, della “cicciata” cilentana, dei “lampasciuoli” e di tanti altri prodotti dimenticati, non c’è solo un recupero di cibi tradizionali ed una voglia di prodotti naturali. Natura e tradizione, tipico e tipicità, sono parole logore dal significato fuorviante se riferite soltanto alla sicurezza ed alla bontà alimentare. L’interesse verso singoli prodotti di nicchia, e perciò di prestigio, esprime un sistema simbolico che evidenzia la diversità dei segni. Il termine più appropriato per designare la ricerca di prodotti locali è quello della diversità che qualifica una segmentazione geo-politica, una rivendicazione d’identità culturale, una difesa dei valori tipici, dell’autenticità e diversità etniche di fronte all’omologazione che la globalizzazione cerca di imporre. Preferire i prodotti regionali non ha soltanto valenza gastronomica né trova motivazione nella golosità. Essi rappresentano quei valori che lungo i secoli hanno caratterizzato le tradizioni e l’identità di un gruppo sociale. Esemplificando, è quasi superfluo evidenziare come nella Campania ogni ricorrenza, festività o evento religioso è accompagnato da un dolce particolare: sanguinaccio a Carnevale, quaresimali nel periodo della Quaresima, pastiera e casatiello a Pasqua, torrone il 1° novembre, roccocò, struffoli e scartellate a Natale, e così per le altre ricorrenza, con varietà specifiche anche all’interno di uno stesso macro-territorio. Per le Regioni del Nord è quasi impossibile cogliere il valore simbolico della pastiera o del casatiello, degli struffoli o delle scartellate, perché esse non hanno in sé le sedimentazioni storiche della cultura greco-romana nella quale il cibo e la gastronomia segnavano l’interezza della vita sociale, familiare e personale dell’individuo, ne scandivano i tempi e ne indicavano il significato. Senza apparire gastronomicamente blasfemi, si può dire che il Panettone a Natale e la Colomba a Pasqua sono una simbologia da esigenza consumistica ed economico-industriale. Fuor che la forma, panettone e colomba sono prodotti identici, privi di fantasia, di creatività e di valori. Tutto sommato non sono altro che “pan di Spagna” un po’ elaborato! Altro è il valore culturale e simbolico della pastiera e del casatiello! Essi sono associati al rito religioso della passione, morte e resurrezione del Cristo; nello stesso tempo, in continuità con la mitologia greco-romana si armonizzano con l’equinozio di primavera e la rinascita della natura. Per la religione cattolica, il grano macerato rievoca la passione e la morte del corpo del Cristo, che poi risorge a nuova vita. Fin dai Misteri eleusini si ricorda la cerimonia dell’unione mistica di Zeus e di Demetra, simbolo di fecondazione e d’iniziazione ai misteri della vita. Demetra, Cerere nella religione romana, era una divinità materna della terra e della fertilità, nume tutelare dei raccolti, ma anche dea della nascita, poiché tutti i fiori, la frutta e le cose viventi erano ritenuti suoi doni. Si pensava avesse insegnato agli uomini la coltivazione dei campi e per questo veniva solitamente rappresentata come una matrona severa e maestosa, tuttavia bella e affabile, con una corona di spighe sul capo, una fiaccola in una mano e un canestro ricolmo di grano e di frutta nell’altra. Come logica conseguenza era considerata anche protettrice del viver civile, in quanto l’agricoltura rappresenta un grado superiore di civiltà rispetto alla precedente fase di caccia e pastorizia. Così di lei Ovidio nelle Metamorfosi: “la prima a dissodar le glebe con l’aratro insegnò; prima le biade i più soavi nutrimenti diede; a noi prima diè leggi; ed ogni cosa riconosciamo da lei.” Anche il casatiello porta con sé un valore simbolico carico di identità culturali ed etniche che vanno ben oltre la gastronomia. Già nella forma, una ciambella con quattro uova sode infisse nella pasta e fermate da striscette incrociate, ricorda simbolicamente il ciclo vitale che si rinnova: l’uovo come principio e la croce come vita, morte e resurrezione. La scoperta della tradizione e della cucina territoriale rappresenta, dunque, nella vita odierna una difesa della personalizzazione del gruppo di fronte all’anomia della globalizzazione culinaria. La riscoperta della cucina tradizionale di un territorio è anche riappropriarsi della memoria, riannodare presente-passato-futuro, ritrovarsi nella propria storia da cui la vita globalizzata e atemporale dell’attimo ha disperso l’identità della persona; è la riconquista di uno spazio entro cui vivere e ritrovare se stessi e nel quale vi sono pezzi di cultura, tracce di una vita e di una memoria in comune. È questo lo strumento e la motivazione per trasformare il territorio e la sua identità nel vero prodotto turistico.

 

 

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