Scetticismo Etico
Oggigiorno la verità – o meglio: la Verità con la maiuscola – non gode di buona fama. Malgrado nei discorsi pubblici, e nelle schermaglie televisive, tutti dichiarino di dire la verità e soltanto la verità, chi ascolta non tarda a concludere che, se ci sono tante verità quanti sono i parlanti (o i litiganti), e se la verità degli uni è incompatibile con quella degli altri, allora o qualcuno, anzi, tutti mentono o non si tratta di verità assolute e oggettive ma relative e soggettive; quindi proprietà (e onestà) di linguaggio vorrebbe che non si definissero verità le credenze, le opinioni, le ipotesi, le illazioni, i pareri o, magari, i desideri o i sogni ad occhi aperti, quando non le vere e proprie menzogne, sparate sovente con sprezzo del ridicolo e dell’intelligenza di chi ascolta, strumentali alle tesi difensive dei tanti avvocati-deputati (o deputati-avvocati) del povero Cav. perseguitato dalla giustizia (o ingiustizia che dir si voglia). Eppure nessuno degli attori presenti e operanti sulla scena politica e mediatica sembra disposto ad ammettere di non sapere quale sia e dove stia di casa la tanto nominata – ma più vilipesa e oltraggiata che onorata – Verità; a meno che non si tratti di seguaci del cosiddetto “pensiero debole”, che ha dato:”Addio alla verità: così potremmo esprimere, in maniera più o meno paradossale, la situazione della nostra cultura attuale, sia nei suoi aspetti teorici e filosofici, sia nell’esperienza comune. Proprio riferendosi a quest’ultima, è sempre più evidente a tutti che ‘i media mentono’, che tutto diventa un gioco di interpretazioni non disinteressate e non necessariamente false, ma appunto orientate secondo progetti, aspettative e scelte di valore diverse.” (Cfr. Gianni Vattimo, Addio alla verità, Meltemi, 2009). E nondimeno l’uscita di scena della verità in sé e in quanto tale dall’orizzonte culturale odierno e da quell’ ”agire comunicativo” che, secondo Habermas – e, prima di lui, secondo Aristotele – contraddistingue l’animale uomo dagli altri animali, non è priva di gravi conseguenze anche nel campo dell’etica pubblica e di quella privata (ammesso e non concesso che questa distinzione abbia un solido fondamento teoretico). D’altronde non è difficile comprendere che, se non esistono valori oggettivi ma solo soggettivi, o comunque non fondati sulla verità ma sull’opinione corrente e maggioritaria in un determinato contesto storico e sociale, a prevalere saranno sempre i valori e gli interessi dei più forti, cioè di chi possiede più mezzi e più potere di “persuasione”. Ma che cosa significa l’espressione “valori fondati sulla verità”? Lo spiega Roberta De Monticelli nel secondo capitolo del suo saggio su La questione morale, in cui argomenta contro il pensiero debole e la sua riduzione della ragione a mero calcolo strumentale e tecnico, oppure al pensiero dogmatico, unico e oppressivo dei totalitarismi novecenteschi, e così perdendo di vista il valore fondativo della ragione come logos in senso aristotelico, ma anche come “ragione pratica” in senso kantiano. Che cosa dobbiamo intendere, allora, con il termine “ragione”? “Anzitutto una disposizione e una disponibilità a rendere ragione, cioè giustificazione, ovunque possibile, delle nostre convinzioni, e delle azioni che ne risultano.” Si tratta quindi in primo luogo di una facoltà o capacità basata sullo sviluppo adeguato delle nostre funzioni cognitive ed espressive; ma non basta possedere questa capacità per metterla in opera; tanto è vero che posso agire irrazionalmente, delirare, parlare a vanvera, abbrutirmi, e, insomma, sfuggire alle mie responsabilità; oltre alla “disposizione” ci vuole anche la “disponibilità”, infatti l’esercizio della ragione è una libera opzione, non una necessità. E qui la De Monticelli tocca un punto nodale dell’etica: “La libertà è costitutiva dell’esercizio di ragione in un senso molto preciso. Non è un caso che un parlare ambiguo o illogico, specie in sede pubblica, ci irriti – lo notò Pascal – mentre lo zoppicare dello zoppo suscita solo compassione”. E perché mai non ci irrita lo zoppicare dello zoppo? Perché non può fare altrimenti:”La differenza è che lo zoppo non ha scelta. Ora, dove c’è un’opzione ci sono valori, e dove ci sono valori ci sono doveri, c’è etica. Alla base della logica c’è l’etica.” E alla base dell’etica che cosa c’è? Indubbiamente, la possibilità di scegliere, cioè la libertà, ma non solo: a che cosa ci servirebbe la libertà se non ci fossero valori per cui vivere (o anche morire)? E come potremmo conoscere questi valori se non avessimo “il ben dell’intelletto”, cioè la capacità di discernere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, ma anche il vero dal falso, e, quindi, se non fondassimo – o meglio, non potessimo fondare – le nostre scelte, in definitiva, sulla ragione? “Ma se render ragione, laddove sia legittima la richiesta di farlo, è un dovere, questo dovere non si esercita senza logica. Alla base dell’etica c’è la logica, che è essa stessa la disciplina del pensare giusto, l’etica del pensiero.” E così il cerchio, come suol dirsi, si chiude: non si dà logica senza etica, ma neppure etica senza logica. “Questo ‘intreccio’, che fra i grandi contemporanei è Husserl a sottolineare, è forse il cuore pulsante della filosofia ‘socratica’. Filosofare è socraticamente render ragione a se stessi – oltre che al proprio interlocutore – delle convinzioni più o meno oscure, più o meno ereditate, più o meno infondate che si hanno. Riguardo a come stanno veramente le cose, ma anche riguardo a cosa sia bene o non lo sia in qualche rispetto, e riguardo a cosa si debba fare o non fare. E’ questa paideia che abbiamo messo alla base dell’educazione delle persone. E’ la ricerca socratica della verità.” Di quale verità? E qui torniamo alla questione iniziale: se ciascuno ha, o crede di avere, una propria verità, come potremo riconoscerci in valori comuni, cioè universali? La risposta della De Monticelli, abbiamo visto, è socratica, ma anche kantiana, ed è una risposta che si è materializzata nel costituzionalismo di matrice illuministica che è alla base delle istituzioni politiche dei contemporanei Stati di Diritto o liberaldemocratici. Eppure, come constatiamo quotidianamente, le Dichiarazioni dei Diritti che caratterizzano l’”età di ragione” o “adulta” di cui parlava Kant, non hanno impedito le stragi e gli orrori delle guerre mondiali, e non impediscono che nuove guerre, magari definite “umanitarie” e “democratiche”, continuino a insanguinare la nostra sempre più povera e martoriata madre Terra. Non sarà per caso un mito – Dio non voglia – anche la ragione pratica incarnata nelle istituzioni pubbliche e democratiche?