Salerno: Valerio Torre sull’esito elettorale

L’esito del voto amministrativo di Salerno ci consegna un plebiscito per il sindaco uscente. Sottolineiamo che si tratta di un risultato che non è frutto dell’azione politica di un partito, considerato che quello di riferimento di De Luca (il PD, da lui stesso definito “il partito delle anime morte”) è stato scientificamente soppresso dal suo “padre padrone”, che lo ha fagocitato immolandolo sull’altare della sua debordante personalità. Prova ne sia il dato elettorale di Nocera Inferiore, dove il PD, benché uscisse da un quinquennio di governo dell’ente, non è riuscito nemmeno a giungere al ballottaggio. Si tratta, approfondendo quest’analisi, dello stesso esito che, da un altro versante di lettura, registriamo a Napoli, dove un quindicennio di bassolinismo ha fatto evaporare il PD.
Insomma, laddove la legge sull’elezione diretta dei sindaci è stata “interpretata” come hanno fatto De Luca e Bassolino, il PD o è stato fagocitato (come a Salerno) o distrutto (come a Napoli).
Nel caso di Salerno, il plebiscito per De Luca è frutto delle politiche da lui messe in campo negli ultimi vent’anni. A partire dall’invito-imperativo rivolto agli imprenditori – “E ora arricchitevi!” – tutta l’azione politico-amministrativa dell’ente è stata svolta in favore dei poteri forti della finanza, dell’industria e del cemento di Salerno, che hanno infatti realizzato in questi vent’anni profitti da favola a spese dei lavoratori e delle classi disagiate della città. Poteri forti che hanno a tal punto “gradito” il gentile omaggio loro fatto da aver ricambiato tornando a puntare sullo stesso “cavallo” (De Luca) ritenuto molto più di razza rispetto all’altro: di fronte a così ingenti ricchezze accumulate in tutti questi anni e di quelle ancor più succose che potranno essere realizzate nel prossimo quinquennio, perché cambiare cavallo e correre il rischio di non poter lucrare i profitti che sono dietro l’angolo? Questa è stata la domanda che si sono posti i poteri forti di Salerno, la borghesia dominante. E la risposta è stata: “cavallo che vince non si cambia!”.
Di qui, l’esito plebiscitario per De Luca, che peraltro ha blindato il proprio potere attraverso il collaudato sistema delle società comunali e il solido controllo delle burocrazie sindacali sui lavoratori, che hanno creato un consenso capillare, diffuso, penetrante e asfissiante. Questo è il quadro in cui è maturato il 74,42% per il sindaco uscente. Resta da segnalare che, rispetto a una sconfitta annunciata, un centrodestra che in questo territorio non è riuscito a creare personale politico presentabile e credibile agli occhi del proprio elettorato, ha puntato sull’unica figura che, in caso di esito negativo, non avrebbe subito contraccolpi oltremodo negativi in considerazione del ruolo istituzionale ricoperto in Provincia. Ma si trattava, in ogni caso, di un esito già scritto, benché il PDL non lo immaginasse di queste proporzioni.
Va rimarcata, tuttavia, la valenza politica generale di questo voto, dal momento che il risultato estremamente negativo di Ferrazzano (che peraltro trova riscontro nelle altre elezioni di Milano, Torino, Bologna e finanche Napoli) conferma che si sviluppa e si approfondisce la crisi del berlusconismo, che oggi si dibatte in violente convulsioni e contraddizioni interne alla coalizione di governo nazionale, dagli esiti imprevedibili. La crisi economica si traduce in crisi politica. Il fatto è che le classi disagiate, ancora una volta, si rivolgono all’altro polo dimenticando che le identiche politiche di violenti tagli alle risorse per dirottarle nei bilanci di banche ed imprese furono già adottate – e lo saranno ancora in un’ipotesi di futuro governo nazionale a guida PD – da questi altri partiti della borghesia oggi momentaneamente all’opposizione in parlamento. Mentre le masse arabe indicano la strada della rivoluzione per rovesciare i rapporti di forza esistenti nella società, i lavoratori italiani si faranno ingannare ancora una volta dal perverso gioco dell’alternanza. È stato perciò proprio questo il senso della presentazione autonoma del Partito di Alternativa Comunista alle elezioni comunali di Salerno: avanzare ai lavoratori e alle classi sfruttate di questa città una proposta organicamente e complessivamente rivoluzionaria testimoniando l’attualità e la vigenza della rivoluzione come unica via d’uscita dalla crisi del capitalismo e dalle pesanti conseguenze che vengono fatte ricadere sul proletariato. In un quadro oggettivamente difficile come quello delineato a livello locale, registriamo un risultato tutto sommato positivo in termini percentuali per il PdAC, che conferma l’attenzione di uno “zoccolo duro” dei lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, degli studenti, per i comunisti e il loro programma. Positivo, peraltro, soprattutto considerando le nuove relazioni che si sono sviluppate a partire dalle occasioni di incontro nelle piazze, nelle strade e davanti alle scuole e ai luoghi di lavoro che ci hanno consentito di intercettare nuovi militanti e simpatizzanti con cui continuare la difficile eppur necessaria opera di costruzione di un partito autenticamente rivoluzionario. E ciò va sottolineato soprattutto in considerazione del risultato estremamente negativo di quel che resta di Rifondazione comunista e dei Comunisti italiani, che, riuniti sotto l’anonima sigla della Federazione della sinistra, raccolgono solo 886 voti a fronte degli oltre 2.700 che avevano appena cinque anni fa: frutto amaro di un ventennio di politiche di alleanze di governo nazionali e locali coi partiti della borghesia. E dunque, il Partito di Alternativa Comunista raccoglie il testimone e si candida ad essere lo strumento per la ricostruzione dell’estrema sinistra in Italia e a Salerno, partendo dal piccolo ma prezioso risultato raggiunto in questa faticosa tornata elettorale: consapevole però dell’estrema difficoltà di questo compito in conseguenza della dilapidazione da parte della sinistra governista (Rifondazione; ma anche SEL, che non raccoglie a Salerno un risultato positivo, sia considerando l’essere stata in coalizione con il “carrarmato” De Luca, sia avendo “investito” nella campagna elettorale il leader nazionale Nichi Vendola) di un patrimonio di militanza disperso negli anni.
Oggi, come sempre quando finisce una campagna elettorale (che per i comunisti rivoluzionari costituisce solo un momento, e nemmeno dei più importanti, della propria attività politica), il PdAC rilancia, partecipa e sostiene le lotte dei lavoratori, dei disoccupati, dei migranti e degli studenti in un’arena – quella della lotta di classe – molto più ampia: unica strada per rovesciare il sistema capitalistico.
Il candidato sindaco del Partito di Alternativa Comunista
Valerio Torre