Mercato San Severino: teatro e karaoke a S. Vincenzo

Anna Maria Noia

Una splendida ed insolita serata, dal clima sereno denso di attese e di trepidazione, quella di sabato 21 maggio, ore 21: gli entusiasti (ed entusiasmanti) e propositivi giovani ( e meno…) animatori della parrocchia di S. Vincenzo (Mercato S. Severino), coloro che più di tutti gravitano a questa realtà piccola all’inizio ma in continua crescita nella ormai sempre più popolosa frazione dallo stesso nome (S. Vincenzo martire, ricorrente il 22 gennaio, che dà al nome alla chiesetta e che con S. Pasquale Baylon è protettore di questa zona), hanno infatti presentato in onore di S. Pasquale Baylon – festeggiato il 17 maggio ma le cui celebrazioni si sono tenute appunto in tal data – la consueta recita che ogni anno non manca di allietare tante e tante persone che si ritrovano dinanzi al sagrato nella serata del sabato precedente la processione di questo taumaturgo protettore delle donne nubili, patrono delle Opere Eucaristiche e probabile inventore dello zabaione (San Bayòn), santo semplice e umile che nella chiesetta succitata è raffigurato in una statua piegata all’indietro. Quest’anno il gruppo giovani “I fuoritempo”, sorta di “S. Vincenzo boys” o “Compagnia in-stabile” di Mercato S. Severino, guidato dall’impareggiabile padre Carmine Ascoli, ha rappresentato una commedia tra le meno note ma non per questo meno divertenti di Eduardo De Filippo, intitolata: “Sogno di una notte di mezza sbornia”.La piece è stata portata in scena con ardore e passione, con veemenza e partecipazione dai giovani creativamente impegnati in progetti in cui fervidamente credono, come ad esempio è risultato essere pure il momento del karaoke “Canto anch’io” per bambini e ragazzi che il giorno prima della messa in scena del testo eduardiano è stato organizzato sempre dinanzi alla struttura parrocchiale. Anche questo è stato un bellissimo modo di operare – con poco – per vivere la realtà parrocchiale (parrocchia deriva infatti dai termini greci antichi “para” ed “oikos”, che uniti insieme significano: “casa tra case”, “famiglia di famiglie”) e soprattutto per attivarsi verso il mondo dell’oratorio – come volevano gli “inventori” dell’oratorio: S. Filippo Neri e S. Giovanni Bosco. Riguardo ai bambini, il venerdì prima della piece teatrale una ventina di aspiranti Caruso, non naturalmente performanti arie liriche bensì tante e tante canzoni vecchie e nuove, di molteplici autori anche “difficili”, cioè con intonazioni complesse; i deliziosi bimbetti e ragazzini interpretavano sia canzoncine per la loro età, come “Il coccodrillo come fa” e “Gugù”, sia testi di Mina (“Tintarella di luna”), di Bocelli e Giorgia (“Vivo per lei”), di Fabri Fibra (un rap “futuristico”), di Grignani e di Max Pezzali. A “votarli” – ingrato compito – e ad esprimere preferenze una giuria ad hoc (“senior”) che li ha valutati anche per la “presenza scenica”. Questo e l’appuntamento con il teatro il giorno dopo stanno senz’altro a dimostrare che grazie a un po’ di entusiasmo e di volontà si possono far nascere cose belle, creare situazioni di intrattenimento, allo scopo di attirare – finalmente – le tante famiglie che ancora non partecipano appieno alla vita sociale di S. Vincenzo, pur – come abbiamo detto sopra – essendo la frazione ricca di fermenti e in costante crescita in quanto a popolazione. Il tutto al servizio della divulgazione del messaggio affidatoci dal Cristo, la Buona Novella, la Parola rivelata, il Verbo incarnato. Tornando alla piece per quest’anno (dopo altre come “La fortuna con la F maiuscola” ma soprattutto come “Natale in casa Cupiello”), dal titolo: “Sogno di una notte di mezza sbornia” (del 1936), è stato, per i suoi tre atti e per la convincente recitazione, professionale e con “sorprese”, rivelazioni di attori alla prima volta sulla modesta scena del sagrato della chiesa (stiamo parlando – ad esempio – di Lucia Rega e dell’interprete di Jack l’americano), un copione difficile e impegnativo – come sono d’altronde molte opere del grande Eduardo – ma nel contempo interessante. Tema centrale della commedia, il rapporto tra vita e morte, ma soprattutto la superstizione, su cui ironicamente scherza il maestro De Filippo; la superstizione è caratteristica tanto presente nella quotidianità e nell’animo partenopeo. Molti i personaggi che calcavano il palcoscenico, in tale soirèe, e tutti quanti validi gli attori in erba che hanno inteso portare un vento e un senso di piacevolezza a S. Vincenzo per le solenni celebrazioni in onore di S. Pasquale. Il protagonista Pasquale Grifone, un ispirato Antonio Delli Priscoli, che vive in un basso con la famiglia, riceve in sogno la visita di Dante Alighieri, tra i fumi di una “mezza” sbornia da parte di Grifone; il sommo poeta gli comunica quattro numeri da giocare al lotto per una quaterna secca. Quaranta milioni della vecchia valuta, del vecchio conio riguardanti le lire ai tempi di Eduardo sono il risultato della giocata, che si avvera tra lo sbigottimento dei familiari di Grifone, i quali inizialmente lo credono pazzo o ubriaco. I numeri estratti, però, indicano – secondo Dante Alighieri – anche la data della morte del capofamiglia. Per questo, quando la famiglia Grifone va a vivere in un costoso appartamento con automobili, giardino e servitori e comincia a vivere da gran signori, il solo ed unico a non gioire è – sembra ovvio – lo stesso Pasquale, che pensa sempre e più tristemente alla vicina, prossima fine. Attorno ad Antonio Delli Priscoli, c’è Filomena, la moglie, interpretata con la “solita” bravura e verve da Maria Delli Priscoli. Per lei soprattutto la ricchezza sembra anche cambiare il suo status. Il tempo passa e anche i figli di Pasquale Grifone: Arturo, un bravo Matteo Greco, e Gina (la strepitosa Antonella Rega) non credono più che la profezia di Dante si avveri. Ma avvicinandosi il giorno probabile della  dipartita di Grifone tutti si vestono a lutto. Intanto si attende l’ora “ferale”, cioè le tredici, orario vaticinato dall’Alighieri. Il giorno della morte, Pasquale sviene e torna in sé solo dopo “apparentemente” le tredici, cioè egli pensa che l’ora fatale sia già passata. Contento per essere stato “risparmiato” dalla morte certa prevista, si accinge a ringraziare il medico (Fabiola Santoro) invitandolo a pranzo ma il medico gli dice che ha un impegno urgente proprio alle tredici, che devono ancora venire, anche se Grifone credeva fossero definitivamente passate. Il testo conclude così improvvisamente il tutto, lasciando un alone di mistero e di suspance. Tutti validi, come dicevamo prima, gli interpreti, che certamente si impegneranno ancora per l’anno prossimo; noi che scriviamo auguriamo loro di poter sempre dimostrare lo stesso, identico fervore (creativo e non solo) nel promuovere l’armonia e la serenità in questa vera e propria “isola felice” – anche se naturalmente non mancano problemi e difficoltà – che costituisce la popolosa frazione di S. Vincenzo.