La Beata Rosa Gattorno e le anime del Purgatorio
La beata Rosa Gattorno nacque a Genova il 14 ottobre 1831. trascorse un’adolescenza serena e contraddistinta dagli insegnamenti della fede cristiana. A 21 anni sposò il cugino Gerolamo Custo e la coppia decise di trasferirsi a Marsiglia ma dopo qualche tempo a causa di un bruttissimo fallimento finanziario la famiglia è costretta a rientrare a Genova dove una malattia fulminea rese sordomuta la figlia primogenita Carlotta. Nel frattempo, partito per l’estero con la speranza di poter risanare il grave dissesto economico, il marito Gerolamo rientra a Genova più povero di prima e le sue precarie condizioni di salute, causate da tante amarezze, lo portano alla morte. Dunque, a nemmeno sette anni dalle nozze Rosa non solo rimane vedova ma improvvisamente muore anche Francesco l’ultimo nato. Rosa, sempre accompagnata da un’incrollabile fede, resiste al dolore per le dure prove subite avvicinandosi ancor di più al Signore. Anzi, l’amore per il prossimo diviene addirittura una ragione di vita. L’8 dicembre 1858 emette il voto privato di castità e di obbedienza e tre anni dopo diviene terziaria francescana. Pur non trascurando mai i propri figli, Rosa riuscì a gestire in modo impeccabile anche diverse opere caritative. La donna però era lacerata interiormente dallo scrupolo di non essere sufficientemente all’altezza del suo ruolo di madre di due figli ed il 3 gennaio 1866 volle incontrare il papa Pio IX per avere luce circa i suoi dubbi. Il papa la rincuorò, esortandola addirittura a dare vita ad una fondazione di assistenza per i più bisognosi. L’8 dicembre di quello stesso anno fondò a Piacenza la congregazione delle “ Figlie di Sant’Anna, Madre di Maria Immacolata”. Proprio nel giorno di Sant’Anna, il 26 luglio del 1867, Rosa vestì l’abito religioso e cambiò il suo nome in Anna Maria. Nel giro di pochi anni creò numerosi fondazioni assistenziali per anziani, bimbi abbandonati, ragazze madri, infermi, poveri e derelitti. Fu un crescendo impressionante, al punto tale che nel 1876 la congregazione ottenne dalla Santa Sede il decreto di Lode e tre anni dopo divenne di diritto pontificio. La Madre morì a Roma il 6 maggio 1900 lasciando 368 case religiose e 3500 suore. Il papa Giovanni Paolo II la beatificò il 9 aprile 2000. La sua pietà non si limitava ai sofferenti di questa vita; si estendeva anche alle anime bisognose di aiuto nel Purgatorio, memore che le membra vive del corpo mistico di Cristo devono sinceramente partecipare alle sofferenze di tutti quelli che vi appartengono. Quindi, oltre ai copiosi suffragi per le defunte dell’istituto desiderava offrirne per tutti i defunti; fu infatti udita più volte esclamare: “Oh, se potessi mettere insieme tanto da assicurare nella nostra Chiesa una Messa ogni giorno per le anime del purgatorio, quanto sarei contenta!”. E vi riuscì, stabilendo i fondi necessari per una messa quotidiana e per due alla domenica; di più riservava per la cappella generalizia un’elemosina ogni giorno per la messa in suffragio delle anime purganti. Il giorno in cui si commemoravano i defunti, poi, invitava nella Chiesa di Roma quanti sacerdoti poteva per far celebrare le Messe di suffragio. Con finezza materna preveniva qualche lutto, consegnando alle più povere del denaro per far celebrare Messe dove volessero. Non fa meraviglia perciò che Iddio premiasse tanta sollecitudine rivelandole talora lo stato di qualche anima già passata all’altro mondo. Nei suoi scritti la Madre stessa narra molte apparizioni riguardanti persone defunte. Suor Anna Geromina Mazza ci racconta un fatto di cui lei stessa fu testimone. La casa delle Figlie di Sant’Anna a Pistoia fu donata all’Istituto da un anziano Canonico, il quale però rimase ad abitarne un piano finchè morì. Data l’età avanzata e l’infermità, aveva al suo servizio una vecchia donna, con la quale non sempre andava d’accordo, sicchè di quando in quando quella casa risuonava di litigi e di voci alterate tanto che la Superiora scendeva dal piano delle religiose per mettere pace in quell’appartamento. Dopo tre mesi dalla morte del Canonico, la Madre Gattorno ebbe occasione di passare da Pistoia e vi si trattenne tre giorni. L’ultimo giorno fu vista in cappella raccolta dinanzi all’immagine del Sacro Cuore, inginocchiata come soleva ed appoggiata ad una sedia. La Superiora, avendo bisogno di parlarle, la chiamò con garbo ma non ebbe risposta; la scosse ripetutamente, ma invano; allora si ritirò andando a lamentarsene con la segretaria. Dopo qualche tempo la Madre andò in camera e la chiamò a sé ma pareva stranamente preoccupata; se la fece sedere accanto, poi, presala per mano, la condusse in cappella e la fece inginocchiare vicino alla seggiola di prima. Stettero così in silenzio per un po’ di tempo; la Madre quindi chiese alla suora: “Geromina, senti tu questa voce?”. “Io sì, Madre”. “Di chi è questa voce? La riconosci tu?”. “Madre, è la voce del Canonico Biagini”. La Suora aveva infatti riconosciuto la voce udita tante volte nei litigi del piano di sotto; la camera del sacerdote si trovava proprio sotto la cappella. “Non aver paura, Geronima”, soggiunse la Madre prendendola per mano; la ricondusse quindi in camera, la fece sedere e stette alquanto in silenzio. Poi riprese: “Geronima, tu hai conosciuto la voce del canonico Biagini; lui è salvo ma se sapessi o vedessi le gravi pene che soffre nel purgatorio e come deve soddisfare per le Messe celebrate nell’inquietudine del suo spirito, tu non cesseresti mai dal pregare per lui in tutto il tempo della tua vita”. Disse ancora che il Canonico era salvo per i benefici fatti all’Istituto e per l’intercessione di Sant’Anna. “Fate celebrare delle messe- concluse la Fondatrice- recitate Rosari e pregate, pregate molto per quest’anima”. Queste erano le sfumature della carità di madre Rosa; non vi era sofferenza o privazione che non venisse da lei condivisa. L’interesse e la passione per la gloria di Dio intensificavano il suo impegno oltre il limite dell’esistenza terrena dopo aver donato ogni cosa a se stessa alle immense povertà e miserie umane. Voleva che a tutti fosse restituita l’immagine del Creatore perché tutti ne cantassero la gloria. Il tormento delle anime del Purgatorio era però da Rosa sentito e misurato nel proprio desiderio di veder Dio. In un altro frammento dei suoi scritti intimi, trovato dopo la sua morte, leggiamo queste parole: “Deh, per pietà, lascia ch’io veder ti possa, tu che il cuore mi rapivi! Il petto mio è ferito con l’amor tuo!… Ah, che pene son mai queste! D’un Purgatorio in terra si possono appellare! E voi, povere anime, che vi posso mai donare? Signore mio diletto, mio tutto, se in me qualche cosa vedi che a queste anime possono giovare, deh, togli loro quella nube che tanto le fa penare…”. E pensando subito al suo arrivo nell’eternità, soggiunge: “ Mio caro Bene, fa che in quel Purgatorio non abbia da entrare, sì… che subito stringere mi possa ai piedi tuoi…Dimmelo, Bene mio, ch’io d’amore morrò”. Vedere Dio è il desiderio struggente di chi vive in perfetta carità; e questa in terra è un reale anticipo della vita futura perché meno tutte le virtù necessarie al compimento delle opere meritorie, essa rimarrà in eterno quale vincolo glorioso della creatura con Dio, somiglianza sublime con lui che è l’Amore infinito. Per questo, appunto, Madre Rosa bramava il cielo, mentre custodiva gelosamente la lampada destinata a splendere nel corteo dello Sposo divino: “Oh, quanto è bello il Paradiso- esclamava- quando vi arriveremo?”.