“Orizzonti di Mezzanotte” di Ingenito 25 luglio 2011, giorni-48

 Dal Capitolo 15 Il turista Parte prima   03 dicembre 2002 – Il fiocco a pois Alle 8.20, terminata la discesa della breve ma ripida rampa che, dalla statale tra Vietri sul Mare e Cava dei Tirreni, immette bruscamente sulla SS 163 “Amalfitana”, la corriera proveniente da Salerno si arrestò dolcemente alla fermata per Amalfi. Non c’era molta gente ad attendere. Per la maggior parte insegnanti diretti alle varie scuole della costa e qualche studente. Tra i passeggeri in partenza anche un signore assai distinto con una quarantottore di pelle nera ben stretta nella mano destra. Da diverse ore la bufera si era calmata. Non pioveva più e il vento aveva frenato di molto la sua irruenza. Uno strano sole faceva capolino di tanto in tanto, ridando entusiasmo e voglia di vivere a tutti, dopo una notte unanime-mente considerata la peggiore degli ultimi venti anni. Da quando, cioè, una analoga bufera aveva affondato, incredibilmente a ridosso del porto, il vecchio mercantile Stabia I, facendo numerose vittime e feriti tra i marinai. Dall’alto dei primi tornanti della costiera, la sagoma leggermente reclinata della Jamila era perfettamente visibile, sebbene a tratti. Il suo naufragio aveva scosso la popolazione e indotto le autorità ad intervenire con la massima sollecitudine. Sin dalle prime luci dell’alba, era iniziato un vero e proprio pandemonio mediatico sulla vicenda, con giornali, radio e televisioni nazionali e locali impegnati a tempo pieno. Anche sull’autobus, l’episodio si era trasformato nella notizia del giorno. Più d’uno, a cominciare dall’autista, evocò l’analoga vicenda dello Stabia I di tanti anni prima, associandola a quella più recente.— Meno male. — disse l’anziano passeggero in prima fila,rivolgendosi all’autista. — Questa volta almeno non ci dovrebbero essere vittime. — È ancora presto per poterlo dire. — rispose quest’ultimo.— Non sono ancora potuti salire a bordo. Il mare è troppo mosso. — Sì, ma la radio locale ha diffuso un’intervista al comandante fatta di primo mattino. Secondo lui non ci sono né morti né feriti. Pare che si sia spaccato il timone all’improvviso. — Cose che succedono, specie su certe carrette del mare come quella! — replicò un altro passeggero di seconda fila. — L’importante — riprese l’autista — è che non trasporti combustibile. Se no sarebbe un vero guaio. Vallo a spostare un cargo pesante come quello senza correre il rischio di una fuoriuscita del petrolio! — È vero, è proprio vero! — commentarono pressoché all’unisono diversi passeggeri. Seduto comodamente in una delle ultime file, Ahmed ascoltava senza capire. Realizzò, tuttavia, che stavano parlando della Jamila dai gesti frequenti rivolti in direzione del mare e della spiaggia sottostante. Aveva evitato di prendere un taxi per non dare nell’occhio. Meglio sfuggire da quel luogo in assoluto anonimato. Dopo circa un’ora di corsa tra i tornanti incantevoli della costa, giunse ad Amalfi. L’autobus si arrestò a Piazza Flavio Gioia, tra un caos atavico di auto e di lamiere sempre attivo e presente nonostante la bassa stagione. La zona centrale della famosa località turistica era un budello soffocato e soffocante del traffico locale e nazionale. Esso costituiva, ahimé, il biglietto da visita ufficiale di una collettività oppressa da se stessa; soprattutto, dall’incapacità e dal rifiuto dei propri amministratori di porre fine, una volta per sempre, ad un problema, ed era questo il paradosso, già risolto sul piano della progettualità e della conseguente soluzione tecnica. Quello di costruire una strada di circumvallazione che, partendo da un comune limitrofo distante solo 800 metri, bypassasse per alcuni chilometri quel breve tratto congestionato di costa, facilitando il traffico e consentendo ai turisti di girovagare in carrozzella piuttosto che farsi affumicare dai gas maleodoranti di migliaia di automobili e di pullman pubblici e privati da gran turismo, italiani e stranieri. Ahmed saltò su un taxi parcheggiato a pochi metri di distan­za e chiese di essere trasportato al migliore albergo della città. Finì ovviamente al Santa Caterina, a meno di due chilometri dal centro, lungo la strada per Positano. Il tempo, intanto, continuava a migliorare. La temperatura altrettanto, mentre il sole faceva sempre più concorrenza alle nuvole. Quando entrò nel salone del ricevimento, il siriano fu colpito dall’accoglienza sobria e cortese ricevuta. Una signora di gran classe, piuttosto anziana, appoggiata al lungo banco della reception, discuteva allegramente con il personale. Era di casa e si vedeva. Nel suo abbigliamento elegantissimo, colpiva il fiocco a pois di pura seta, recentissima novità dell’ultima moda autunno-inverno. Aveva un inconfondibile accento veneto e ispirava una simpatia naturale, mediterranea piuttosto che nordica. Si voltò verso il nuovo venuto, osservandolo da capo a piedi. Poi, senza esitare, gli disse:— Si troverà molto bene qua, sa? È il più bell’albergo del mondo. Se lo lasci dire da chi ci viene tutte le estati, da quarant’anni ormai! Ora, quando posso, anche d’inverno, dopo la morte del mio povero Renato! Ahmed rimase sorpreso dall’inattesa intrusione. Si limitò a rivolgerle un breve cenno di saluto con il capo, senza, però, rispondere. — Mi scusi, sa! — continuò imperterrita la cliente. — È che qui siamo tutti come una famiglia. E ogni nuovo ospite che arriva è come se entrasse a farne subito parte. — Grazie, poetessa! — esclamò Francesco De Crescenzo, il giovane e brillante proprietario, subentrato alle sue spalle proprio in quel momento. Ahmed si affrettò a prenotare una suite sul mare, assicurandosi dell’esistenza di tutti i comfort. Sarebbe rimasto solo tre giorni. Troppi per sopravvivere solo con una quarantottore. Il capo-ricevimento aveva una lunga esperienza per non rendersene conto. Proprio per questo non commentò, né direttamente né indirettamente, la richiesta tanto superflua quanto insolita del nuovo cliente. Ahmed consegnò il passaporto e, preceduto da un giovane di sala con la chiave, si avviò al suo alloggio. (…)