“Orizzonti di Mezzanotte” di Ingenito31° 10 agosto 2011, giorni 32

                                                                                                                                                                                                     Capitolo – L’arabo infelice Parte prima Saraceno spurio

Le 17.00, ora legale, erano trascorse da un bel po’. Sdraiato sulla prua a pancia in su, Costabile dava segni d’impazienza. Il sole picchiava ancora molto forte. Il suo corpo annerito replicava alla pericolosa sfida della natura, tranne che con gli occhi, incapaci di reggere il confronto e, perciò, costretti a rimanere chiusi.Guardò più volte in direzione del ristorante. Ma il gruppo sembrava non avere alcuna intenzione di concludere il lauto pranzo. Il via vai di camerieri rafforzò il suo convincimento. L’orologio del piccolo borgo rintoccò il primo quarto, seguito da altri cinque. Si accorse che anche Gigino si avvicinò loro, “parlando” con ampi gesti delle mani.— Ochèi? Ochèi?[1] — esclamò sorridente il giovane cuoco.— Tutt’ochèi![2]  — aggiunse, agitando la mano destra a dita racchiuse e portandola ripetutamente in direzione della bocca con quella gestualità tutta napoletana che evoca il mangiare. A suo modo il barcaiolo si sforzava di chiedere a quei commensali così speciali se il pranzo era stato di loro gradimento. Non fu difficile capirlo.— Excellent, excellent indeed! — replicò per tutti la signora Schutz, con un largo sorriso. Gigino non capì una parola. Né la prima, ripetuta due volte, né, tanto meno, la seconda. Intuì, però, dalla sua reazione, il senso di soddisfazione generale. Si inchinò a piedi uniti, quasi sull’attenti, offrendo agli ospiti un secondo giro di limoncello.Poco dopo, i primi due commensali, Ahmed e Rania, si alzarono, seguiti da tutti gli altri.Il cuoco non si mosse dalla posizione assunta, fin quando il gruppo non abbandonò il locale.Costabile, che aveva seguito tutta la scena, avvicinò il gozzo alla riva, rimanendo in attesa. Di lì a poco, i sei stranieri lo raggiunsero, avvicinandosi in fila indiana. L’espressione rilassata dei loro visi confermò in lui la loro soddisfazione. Li aiutò a salire ad uno ad uno sul gozzo. Poi, remò nuovamente in direzione dell’albergo, attraccando alla scaletta. Dalla larga pedana di cemento colma d’ombrelloni sempre vuoti e sulla quale si ritrovarono nel giro di pochi minuti, gli ospiti s’immisero direttamente all’interno di una costruzione rettangolare fatta di grosse pietre. C’era un bar e, in fondo a destra, una grossa apertura che immetteva sul lato spiaggia. Un giovane barman si agitava più del dovuto, districandosi tra bottiglie e bicchieri nella sala scarsamente frequentata, con all’interno decine di tavoli riservati all’occorrenza alla colazione o alla cena. Su una delle pareti, a sinistra rispetto all’ingresso che avevano attraversato, campeggiava una gigantesca armatura di ferro da guerriero saraceno. Guidati da Costabile, che agiva da battistrada, i nuovi clienti attraversarono il locale uno dopo l’altro, senza parlare. Solo Ahmed si trattenne per pochi secondi davanti a quella chiassosa testimonianza di lontani ricordi legati alle invasioni della costa da parte di un popolo e di una civiltà a lui non certamente estranei.Le mani del fiero Aladino erano poggiate l’una sull’altra ed entrambe calate sull’elsa di una spada possente, rivolta con la punta verso terra. Alla cintura di quella statua di ferro a dimensione umana, pendeva l’inconfondibile pugnale a stiletto arabo. L’uomo fissò con sorpresa quel terribile oggetto di difesa personale. Gli sfiorò la mano con una carezza sinistra, evitando di farsi notare. Negli occhi un impercettibile, sadico sorriso di dolore e di morte. Si riaccodò al gruppo, senza essere notato. S’immisero direttamente nel lungo corridoio naturale scavato fino all’ascensore. Finalmente un po’ di frescura. Durò solo qualche minuto, ma fu piacevole. La leggera brezza creata dall’incavo della parete in roccia allentò, sia pure di poco, l’afa insopportabile che li aveva aggrediti sin dallo sbarco sulla spiaggia.— Izz frèsh, yes? Izz frèsh ià, iès? —  accennò il barcaiolo. Nessuno rispose.— Che aria di cazzo si danno questi stronzi! — sibilò tra i denti, stufo della loro boria.— The lift onli fòr pìpl, maximum fàiv. Avrebbe voluto aggiungere: — Salgono prima quattro, poi tre.— Ma gli mancarono le parole. Come sempre, se la cavò a modo suo nel solito inglese orripilante, ma efficace:— Lift tù taims, ochèy?, two tràvels! Ochèy? Ferst old, den gentlemen. I càmm làst uìd tù lèdis![3] — aggiunse, facendo segno col capo in direzione di Rania e della seconda ragazza di nome Shaista. La gaffe in cui inciampò fu assai brutta, sia nei confronti della coppia anziana, sia delle due giovani donne. Nel primo caso, l’errore fu involontario, nel secondo strumentale. Quando l’ascensore si arrestò, aprì la prima porta di ferro. Poi spinse i due battenti di legno della cabina verso l’interno per farvi entrare gli ospiti secondo l’ordine da lui disposto. Ma Ahmed lo gelò con uno sguardo eloquente, più torvo del solito. Fino a quel momento, Costabile il “Kaiser” aveva provato un’istintiva antipatia per quell’essere spocchioso e scostante. Ora vi aggiunse un pizzico di ripugnanza, mista ad un indefinibile timore. Il buio del tunnel, appena mitigato dalla luce tenue proveniente dal fondo, rese l’atmosfera meno rilassante e amichevole. Nello sguardo fisso e determinato dello straniero, il barcaiolo lesse qualcosa di sfuggente e di malvagio insieme. Quell’uomo non aveva di sicuro buone intenzioni. Gli aveva letto nel pensiero. Ma, questa volta, se l’era cercata. Salire da solo in ascensore con Rania e l’altra ragazza, dopo avere sbolognato i primi quattro, l’aveva solleticato sin dal primo istante, facendogli premeditare l’inutile sceneggiata. Purtroppo gli era andata male. Pazienza. Ci aveva provato almeno. Un sorriso malizioso gli sfiorò le gote, attenuando la delusione della sconfitta.— Aftèr iù, Ms Schutz![4] — disse Ahmed, interponendosi tra Costabile e l’ascensore. Fu, poi, la volta del marito e delle altre due donne. Il diplomatico richiuse senza fronzoli le mezze porte, così come la porta principale di ferro, e si sedette sulla panca di marmo, in attesa che, dall’interno, qualcuno schiacciasse il pulsante per la risalita. Alì non fece caso a nulla. Si limitò soltanto a sbirciare nella poca luce il dépliant dell’albergo, che aveva preso al volo sul banco del barman. Il barcaiolo rivolse più volte lo sguardo in direzione di Ahmed, nel tentativo di distrarlo e di riguadagnarsi la sua fiducia. «Va a finire che ho perso tre piccioni con una sola fava del cazzo.» si ripetè nervosamente. «Fiducia, simpatia e soldi!» Come temette, l’arabo non lo degnò della minima attenzione. Una sola volta ricambiò il suo sguardo. Ma poco amichevolmente. Costabile preferì non istigarlo oltre e si rivolse ad Alì, sempre intento a leggere il dépliant.Biùtifull otèl, iès?[5]— Yes, very beautiful! — commentò asciutto l’uomo. Non attaccò neppure con lui. Deluso, il barcaiolo decise di rinunciare.Una volta su, si ritrovarono tutti nella piccola hall dell’ingresso. Erano ormai le 18.00 e il gruppo appariva stanco e affaticato. Il personale del ricevimento si mostrò cortese.  Un uomo di sala era in attesa di trasferire i pochi bagagli a mano in camera. Più che altro, borse da spiaggia, oltre al beauty-case della signora Schutz. I sorrisi si sprecarono nei confronti dei nuovi arrivati. Si era sparsa la voce, infatti, che si trattasse di una troupe del cinema assai nota. L’ossuto direttore aveva impartito disposizioni ferree. Bisognava fare bella figura con quegli attori. Era in ballo il prestigio dell’albergo. Gli sguardi di tutti si fiondarono su Rania, che il personale aveva già individuato come la Valentina del famoso fumetto. La tesi di Costabile era stata confermata. La bellezza dirompente della giovane donna apparve ai presenti unica e straordinaria. La sua figura longilinea s’imponeva su tutti e su tutto. Ancor più il suo sguardo mellifluo e provocante, che lasciava forti tracce nel cuore e nel desiderio di chiunque lo incrociasse. Nell’attesa, il gruppo si sparpagliò tra la reception e il grande salone interno arredato in pieno stile saraceno; con alcuni quadri di troppo, però, raffiguranti personaggi di epoche e civiltà di paesi diversi, appesi alle pareti dei piani intermedi, ma non attinenti allo stile e al gusto globale dell’ambiente che si voleva a tutti i costi associare unitariamente a quello musulmano. Il pavimento di maioliche vietresi, peraltro bellissimo, faceva a cazzotti con quell’arredamento un po’ forzato e confuso, apparentemente intonato ai luoghi, anche se non all’autentica cultura araba. Gli Schutz, in compagnia di Alì e Shaista, sostavano in verità ammirati davanti alle pareti sfarzosamente addobbate da quadri di condottieri e da sculture dei paesi africani del Mediterraneo, tra tavoli intarsiati e prodotti d’antiquariato vari di indubbio valore, di alcuni dei quali, da inesperti, non riuscivano a percepire l’originalità. Quanto ad Ahmed, non si scollò di un centimetro dal “Kaiser”, intento a consegnare i documenti degli ospiti in fase di registrazione.  Rania, invece, se ne stava tranquillamente appoggiata al minuscolo angolo di parete che separava l’ascensore, da una parte, e la baia sottostante, dall’altra. La gamba, sottile come gazzella, era ripiegata all’indietro sul muro, con lo sguardo proiettato dritto nel vuoto, in direzione dell’ingresso. Sul volto un’aria stanca e annoiata. La luce intensissima del pomeriggio ne esaltava la bellezza dirompente, nonostante l’assenza di un sole ormai calato pigramente dietro la collina retrostante. (…)


[1] “Okay? Okay?”

[2]  “Tutto okay?”

[3] ―Fa fresco qua, non è vero?

    […]

     ― Solo quattro per volta in ascensore, massimo cinque.

    [… ]

     ― Bisogna fare due corse. Salgono prima i signori, poi io con le signore!

[4] Dopo di lei, signora Schutz!

[5] Beautiful hotel, yes?