In libreria “2012: Cosa ci aspetta?” di don Stanzione
L’editore Segno di Udine in questi giorni sta diffondendo nelle librerie il testo scritto da Irene Corona e don Marcello Stanzione. “ 2012: Cosa ci aspetta?” pp.80 Euro 10. Molti, riprendendo presunte ipotesi che sarebbero state formulate dal popolo Maya, sostengono che il 2012 sarà l’anno della fine del mondo. Le teorie catastrofistiche imperversano nei libri, in televisione, in internet, al cinema… Certamente il nostro tempo, più di altri, è caratterizzato dalla precarietà del presente e dall’incertezza del futuro, ma cosa ci aspetta veramente nel 2012? Gli autori, che sono un famoso sacerdote scrittore ed una brillante giornalista, analizzano in questo testo le profezie dei più grandi mistici. In realtà come salvaguardarci dal possibile inganno dal fanatismo e della falsificazione riguardante gli ultimi tempi? Abbiamo due punti di riferimento fondamentali, sicuri e imprescindibili: quello dell’ostacolo della parola di Dio e quello della comunione con la Chiesa, che ha il compito affidatole da Cristo di custodire nella sua genuinità il messaggio evangelico e di discernere ogni cosa attraverso i suoi pastori. Non è un caso, anzi, è una spia sintomatica e utile al discernimento, come questi due riferimenti essenziali vengano tanto o poco facilmente tralasciati ogni volta che il cervello dell’uomo subisce il fascino della fuga nell’irrazionale. E’ tutt’altro, infatti, incontrare persone devote tutte intente a studiare messaggi celesti privati, a condurre una vita anche molto intensa di preghiera, ma con scarsa, a volte anche nulla, attenzione alla Parola di Dio e al Magistero della Chiesa. La vita spirituale diventa così, paradossalmente, una sorta di edonismo, di paganesimo pratico, anche se tutto sembra essere molto sacro. Solo la contemplazione amorosa del Dio-fatto-carne può guarire questa pericolosa deriva spiritualistica e convertire una proiezione alienante in una costruttiva e impegnata speranza cristiana. Il credente non cerca la salvezza fuori da sé e dal mondo, ma dentro di sé e dentro la situazione concreta della sua vita, qualunque essa sia, perché è precisamente accettando di vivere nella sua quotidianità che può incontrare Colui che ha voluto assumere la nostra carne mortale. Insegna il Concilio Vaticano II in una delle sue pagine più suggestive: “Egli (Gesù) è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (“Gaudium et spes”, n.22). L’inaudito mistero del Dio-fatto-carne che ha scelto la nostra povera vita quotidiana ha fatto dire alla piccola e grande santa Teresa di Lisieux: “Se devo scegliere tra vita ordinaria e vita di visioni e di miracoli, io scelgo la vita ordinaria per essere più vicina a Gesù che pur essendo Dio ha spogliato se stesso per essere come uno di noi”. “Viviamo in un tempo che è posto sotto il segno delle “crisi e a volte della “fine”: fine della civiltà occidentale, fine della modernità, fine della cristianità. Certamente il nostro tempo , più di altri, è caratterizzato dalla precarietà del presente e dall’incertezza del futuro, ma la speranza, le speranze sempre si rinnovano e l’uomo è così invitato a ricominciare, a rendere nuovo ciò che pare vecchio, a ridestare ciò che pare moribondo. Sì, la speranza. Non un ottimismo ottuso e cieco, non un’ideologia e neppure un provvidenzialismo secondo il quale prima o poi tutto è destinato ad andare per il verso giusto. La speranza: questa attesa nel quotidiano, questa fiducia nell’umanità, questo sentimento che nasce là dove dall’io si passa al noi, dove c’è ascolto reciproco, solidarietà, comunicazione, dialogo e dunque comunione. Le speranze nascono sempre e solo da relazioni vive incentrate su un “noi” che tende alla costruzione comune di una terra segnata da una migliore convivenza. L’umanizzazione – questo cammino in cui l’uomo accresce la qualità della vita, abita meglio la terra, vive in una consapevole solidarietà con tutte le creature e il cosmo intero – dipende molto dalle speranze che gli uomini sanno coltivare: “sperare contro ogni speranza,” è questa la loro vera forza.