Per cambiare occorre un risveglio collettivo povero Sud!
Si presenta nel Terzo Millennio più povero ed in tutto più distante dall’Italia del Nord. Nelle più generali condizioni di sofferenza dell’Italia, la situazione più grave è al Sud. Un Sud morente ed ormai privo di quell’energia vitale senza la quale è difficile non soltanto vivere, ma anche più semplicemente sopravvivere. Il Sud sedotto ed abbandonato non ha alcuna speranza di futuro; vive nell’indifferenza del suo domani. C’è tanta rassegnazione; c’è tanta indifferenza; c’è tanto silenzio e soprattutto, c’è un quasi vuoto esistenziale dell’essere che porta sempre più a privilegiare il fare per l’apparire, trasformando il popolo non in protagonista, ma in una massa informe di popolo-plebe, privo di valori e di slanci vitali, se non quelli funzionali al solo apparire, al proprio se esistenziale fatto prioritariamente ed a volte unicamente dei soli bisogni materiali e di cibo in eccesso, per saziare l’insaziabile piacere dello stomaco, facendosi male e sottraendo il necessario a chi non ce l’ha, per cui muore di fame. Il Sud vive male, ma non è certamente la parte povera del mondo. Quella parte dai diritti negati è altrove ed appartiene all’inferno della Terra dove ben 14 bambini, vite umane nate solo per morire, muoiono per fame ogni secondo del nostro tempo. Un disastro umano dalle gravi proporzioni! Questo è il vero Sud del mondo; questi sono i territori di quell’inferno terreno dove all’uomo è negato tutto, compreso il diritto alla vita. Ma quanti, anche nel nostro Sud, si fermano per pensare agli occhi, ai volti disperati ed abbandonati a se stessi dei tanti che muoiono bambini colpiti dal violento e disumano killer della fame. Il mondo ormai non vuole occuparsi e preoccuparsi degli altri; egoisticamente pensa sempre e solo a se stesso. Anche il Sud del nostro Paese, pur essendo bisognoso della solidarietà degli altri, non sa essere generoso e pensare ai tanti altri Sud del mondo dove, è sempre più spesso, sin dalla nascita, negato il diritto alla vita, il primo e più importante diritto di tutti gli uomini della Terra. Ma tornando al Sud del nostro Paese, una parte di quel Sud problematico e povero del mondo, alternativo al Nord, l’altra faccia della Terra, dove l’uomo egoisticamente spreca ricchezza, indifferente agli altri, bisogna aiutarlo a fondo e conoscerne le cause del suo vero sottosviluppo. Al Sud del nostro Paese, le cause del sottosviluppo sono prima di tutto antropiche; qui, in questa parte d’Italia l’uomo si crea i problemi e poi non sa come risolverli. C’è un comune senso del “non c’è niente da fare” e nello spirito di “adda passa a nottata”, ben presente nella filosofia napoletana, la gente è rassegnata e non si preoccupa del futuro perché così è, perché tutto è parte di un disegno assolutamente immodificabile per cui non c’è niente da fare. Questa condizione umana è alla base dei mali del Sud; è l’essenza stessa della condizione e dell’abbandono che gli uomini strumentalmente utilizzano nel rapporto delegante del popolo- plebe con il potere della rappresentanza che, in nome del favore fatto o solo promesso, si sente in diritto di abusare fino in fondo di un’umanità sempre più tradita e sempre più abbandonata a se stessa. Questo porta a gridare viva voce “povero Sud sedotto ed abbandonato”; povero Sud incapace di protagonismo d’insieme e di pensare al futuro possibile, forte di un se stessi attivamente protagonisti e sognatori di un mondo nuovo. Questo non c’è al Sud del nostro Paese. In alternativa c’è invece tanta rassegnazione; tanta indifferenza umana, tanto familistico egoismo, per cui si riesce a pensare solo a se stessi, assolutamente incapaci di un agire comune per un insieme solidale, fatto di un protagonismo d’insieme per costruire il futuro a più mani. Anche il Sud dell’Italia, come tutti i Sud del mondo, ha il suo potenziale di sviluppo; purtroppo è un potenziale incompreso, per cui difficile da utilizzare. Questa condizione crea un grave vuoto umano di prospettive che in generale, produce sottosviluppo diffuso e in situazioni estreme, gravi condizioni di povertà e di morte, con drammi umani che, purtroppo, sono sempre più indifferenti ai più. Il primo di questi drammi è dato dalla grave condizione di abbandono dei propri luoghi di vita e di ricerca di una vita migliore, da sempre negata, soprattutto, per il rifiuto e la chiusura di chi non vuole essere disturbato da presenze umane estranee ai propri tradizionali mondi di vita. Il nostro Paese è stato un Paese di forte emigrazione;un’altra Italia, vive fuori dai propri confini naturali. Sparso in tutto il mondo, ha vissuto per necessità, esperienze di meticciato culturale che dal rifiuto, sono poi passate ad attive forme di integrazione e di collaborazione di un’insieme umano finalizzato al grande obiettivo dell’uomo al servizio dell’uomo, senza pregiudizi e/o false forme di pretestuose posizioni di privilegi, dovuti spesso al fare violento dell’uomo-potere, sull’uomo debole e suddito, ovunque vittima di una disumana ed ingiustificata violenza che in sé si esprime come vera e propria negazione dell’uomo, cittadino di diritto della Terra in cui nasce ed a cui deve appartenere con dignità, nel corso di tutta la sua vita terrena. Ma credo opportuno tornare a parlare con la dovuta attenzione del nostro Sud. L’occasione è data da un recente rapporto della Svimez; un’indagine veramente impietosa da considerare attentamente per la tragicità dei contenuti in cifre attentamente comunicati e confrontati con il Centro-Nord. Siamo di fronte ad un vero e proprio tsunami demografico; siamo di fronte alla catastrofe con conseguenze gravi sull’intera popolazione meridionale, dove, soprattutto i giovani non lavorano ed in mancanza di concrete opportunità lavorative, nella logica di sempre, se ne scappano. L’indagine Svimez evidenzia la gravità dei mali di un Sud dove uno su tre non lavora e dove in meno di un decennio (2000 – 2009), sono andati via ben 583.000 persone, soprattutto giovani prevalentemente intellettuali; un atto di necessità per non morire. Ancora, è l’emigrazione, oggi di tipo intellettuale (ad andarsene sono i migliori), ad impoverire il paesaggio umano del Sud. Sprechi ed inefficienza sono la causa prima di tanto sfascio dal quale, stando così le cose umane, sociali e soprattutto politiche, è sempre più difficile uscirne, salvando il salvabile. Al Sud, per non morire, per guardare diversamente al futuro, per cambiare e darsi un nuovo corso di sviluppo possibile, occorre invertire completamente la rotta; occorre abbandonare le attuali condizioni di grave degrado e di profondo e radicato malessere; occorre uscire dalle logiche devastanti dell’assistenzialismo e di quel familismo amorale che non porta da nessuna parte e che rende sempre più difficile i rapporti con la gente e soprattutto tra una generazione e l’altra. Occorre una strategia di crescita, con il coinvolgimento della società, purtroppo oggi assente e schiacciata in modo devastante dai poteri forti della politica e di un mondo malavitoso che si impone su tutto e tutti, attraverso la violenza che tanto male fa all’intero insieme sociale. Al Sud i cambiamenti in atto hanno aggravato le situazioni umane e sociali rispetto al passato. Tra l’altro, è in atto anche il grave fenomeno dell’invecchiamento della sua popolazione; le indagini previsionali della Svimez ci dicono che, il sud nei prossimi venti anni perderà un giovane su quattro; entro il 2050 il Sud sarà la parte d’Italia (se ci sarà ancora un’Italia Unita), con il peggior rapporto tra anziani inattivi e popolazione occupata (la percentuale degli ultraottantenni sulla popolazione, sarà di uno su sei). Tutto questo porta alla crescita diffusa di una insanabile condizione di povertà; il PIL del Sud attualmente è pari al 58,5% di quello del Centro-Nord (il reddito pro-capite è di 17.466,00 euro rispetto ai 29.869,00 del Centro-Nord). La regione più povera tra le regioni meridionali è la Campania; da “regione felix” è passata alla triste condizione di “regione infelix”; registra il più basso reddito tra le regioni italiane (solo 16.372,00 euro), superando lo storico primato di povertà della stessa Calabria. Siamo veramente alla frutta; il Sud povero, ridotto ormai all’osso non sa più a quale santo votarsi. Cresce la povertà; cresce il malessere; cresce il disagio umano e sociale; cresce in modo incontrollabile ed incontrovertibile il suo malessere diffuso e la presenza del crimine che tutto può e che tutto gli appartiene, perché così è. La povertà, il disagio sono conseguenti soprattutto alla mancanza di lavoro. In Campania lavora meno del 40% della popolazione; in Calabria il 42,4% ed in Sicilia il 42,6%. Nel 2010 il tasso di disoccupazione al Sud è stato del 13,4%, mentre al Centro-Nord è stato del 6,4%. Ma nell’intera area meridionale la disoccupazione è di oltre il 38,5%. Nel Meridione lavora un giovane su tre; le donne che lavorano in tutto il Sud, sono ferme al 23,3% contro il 56,5 del nostro Paese. La più grave ed incurabile malattia del Sud è rappresentata dall’emigrazione soprattutto intellettuale; c’è, in tutto il Sud una grave ed inarrestabile fuga di cervelli che si assomma, in modo altrettanto negativo, allo spreco di cervelli con un’assoluta sottoutilizzazione del capitale umano sempre più colpito da una vera e propria inedia mortale per il suo non uso. Tutto questo è dovuto soprattutto alla direzione politica del Sud, responsabile della grave condizione di arretratezza delle infrastrutture, nonostante le risorse disponibili; non si sanno spendere i fondi europei ed i cofinanziamenti nazionali. A dieci anni dalla Legge obiettivo che prevedeva grandi opere per 358 miliardi di euro, la spesa effettiva è stata di solo 30,5 miliardi, dei quali 4,2 miliardi nel Mezzogiorno. Da qui lo sfasciume pendulo di una parte d’Italia gravemente colpita da una condizione di arretratezza umana, sociale, infrastrutturale e di governo dei territori che proprio non perdona e produce, come produce, solo sottosviluppo e quindi povertà della gente. Per cambiare concretamente occorrono nuovi comportamenti nel sociale meridionale; la gente deve imparare ad essere virtuosa e deve sapere, come prima cosa, liberarsi degli egoismi familistici. Tanto è assolutamente necessario per pensare a costruire insieme il bene comune, un percorso il cui successo è intimamente legato all’insieme sociale che ha come obiettivo primario proprio il bene comune. Lo sviluppo del Mezzogiorno deve essere intelligentemente ricercato nel Mezzogiorno e non altrove. Occorre, per cambiare, crescere al Sud; occorre far crescere nella società la nostra responsabilità di meridionali. Questa è la via maestra; non ci sono scorciatoie e/o alternative che possano produrre surrogati di sviluppo, ma uno sviluppo vero. Il Sud deve capire che il vento è ormai cambiato; non c’è, in nessun settore,come ci si è illusi per troppo lungo tempo, un ruolo esaustivo del pubblico; non c’è, soprattutto, il ruolo di supplenza pubblica del Terzo Settore, capace di soddisfare la domanda dei bisogni di un welfare assistenziale a totale carico dello Stato, creando attese assistenziali spesso impossibili e sicuramente insostenibili per uno Stato – società, che non sa e non vuole percorrere altre strade. Occorre che il Sud si adoperi anche nel privato sociale, creando opportune forme di investimento che possano far crescere l’insieme sociale e dare anche un valido contributo per uscire dalle rovinose paludi del sottosviluppo che, oggi come non mai, rischiano di inghiottire tutto, con gravi danni anche per la coesione sociale, una conseguenza naturale dello sviluppo, che nella sua fragilità, rischia di mandare in frantumi tutto e tutti. Mancando la coesione sociale, non ci potrà mai essere una via concretamente percorribile per lo sviluppo possibile. La coesione sociale, premessa e non conseguenza dello sviluppo, è un presupposto che non va messo in discussione; il Sud se non vuole morire, non può assolutamente fare a meno della coesione sociale. Bisogna riflettere responsabilmente e rimettersi tutti insieme sulla strada giusta di un insieme sociale rispettoso delle sue parti e di tutte le regole che servono al buon vivere di una società civile. Per questo occorre e da subito che ciascuno sappia ritrovare responsabilmente se stesso e quei comportamenti virtuosi da cittadini capaci di farsi valere nei diritti, ma di saper essere anche rispettosi dei doveri e di tutte quelle regole alla base della coesione sociale e del rispetto istituzionale dei mondi pubblico-privato, separati ma di fatto assolutamente interagenti.